Neuroscienze della percezione spaziale e temporale e storytelling

Recenti scoperte nel campo delle neuroscienze stanno gettando nuova luce su come il cervello elabora le informazioni spazio-temporali. Queste scoperte potrebbero aiutarci a comprendere come queste influenzano la nostra percezione delle narrazioni e, in ultima analisi, a forgiare uno storytelling più efficace.

La gerarchia spazio-temporale del cervello

Uno studio della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste ha dimostrato che il cervello elabora spazio e tempo in modo integrato nelle aree posteriori della corteccia cerebrale, per poi separarli gradualmente nelle aree parietali e frontali.

La scoperta che il cervello codifica il tempo in modo diverso a seconda dell’area coinvolta conferma una vecchia regola ben conosciuta da ogni storyteller, quella della variazione del passo del ritmo narrativo. In breve, alternando sequenze rapide e dinamiche a momenti più lenti e riflessivi, è possibile creare un’esperienza più coinvolgente e realistica.

Gli esempi sono innumerevoli: penaste alle scene di inseguimento dei film d’azione (ritmo narrativo rapido) seguite da scene a ritmo più lento, dove le azioni sono inframezzate da primi piani dei protagonisti che parlano o riflettono.

Esce confermata anche la validità di un altro vecchio trucco: manipolando la percezione della durata degli eventi, è possibile generare ansia o eccitazione nel pubblico. Esempio: pensate al protagonista prigioniero in una stanza chiusa con un timer che corre veloce prima dell’esplosione di una bomba. Mostrare il timer in primi piani frequenti e con un ticchettio assordante, il che crea l’effetto di dilatazione del tempo (e di ansia). Verso la fine, il montaggio può essere accelerato in modo da aumentare il senso di urgenza e raggiungere il climax, in cui (finalmente) l’eroe di turno blocca il timer esattamente mezzo secondo prima del punto zero (risoluzione).

Storytelling e percezione dello spazio

La comprensione di come il cervello integra spazio e tempo può aiutare a creare ambienti narrativi più immersivi e realistici. È dimostrato che la descrizione dettagliata degli spazi e la loro relazione con gli eventi può rafforzare il senso di presenza del pubblico nella storia e di immersione spaziale.

Ma anche la variazione della prospettiva spaziale può influenzare l’interpretazione degli eventi. Pensate alle classiche soggettive in cui vediamo un uomo in fuga tra la folla con i suoi occhi. La folla è sfocata per sottolineare la solitudine dell’uomo e dare un senso di paranoia, mentre piccoli dettagli, come un riflesso sospetto in una vetrina o un rumore improvviso, vengono amplificati, aumentando la tensione.

Se cambiamo la prospettiva, varia il significato della scena. Pensate a una prospettiva oggettiva, in cui l’uomo viene ripreso in fuga dall’alto e dove c’è maggior distacco mancando la percezione soggettiva della sua paura.

Integrazione di elementi visivi e temporali

La conoscenza di come il cervello elabora le informazioni spazio-temporali può guidare la scelta delle inquadrature, la durata delle scene e la transizione tra di esse, creando esperienze più coinvolgenti.

Immaginate una scena drammatica: due personaggi si trovano in una stanza, pronti a un confronto. All’inizio, li vediamo distanti, un campo lungo che sottolinea la separazione tra loro. Lentamente, la telecamera si avvicina, concentrandosi sui loro volti, cercando di catturare ogni minima espressione, ogni emozione nascosta. Le inquadrature cambiano, a volte li mostrano lontani, a volte vicini, seguendo il ritmo del loro dialogo, i momenti di avvicinamento e allontanamento. Questo gioco di spazi ci aiuta a sentire le loro emozioni.

Poi, il tempo. Nei momenti di tensione, le scene si allungano, silenzi carichi di significato, sguardi che dicono tutto. Quando le emozioni esplodono, il ritmo accelera, dialoghi serrati, montaggio dinamico, tutto diventa più veloce. Il tempo si piega alle emozioni.

Anche le transizioni tra le scene sono studiate. A volte sono morbide, quasi impercettibili, per mantenere l’immersione nella storia. Altre volte, tagli netti o dissolvenze rapide, per sottolineare un cambiamento improvviso, un’emozione forte.

Così, scegliendo inquadrature, tempi e transizioni con cura, sfruttando la conoscenza di come il cervello percepisce spazio e tempo, si crea un’esperienza più intensa. Le emozioni diventano più reali, la tensione cresce, ci sentiamo parte della storia.

Conclusioni

Le scoperte delle neuroscienze sullo spazio e il tempo offrono agli storyteller nuovi strumenti per creare narrazioni più efficaci e coinvolgenti. Comprendendo come il cervello elabora queste informazioni, è possibile manipolare la percezione del pubblico e creare esperienze narrative più immersive e memorabili.

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Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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