L’intelligenza artificiale crea un nuovo modo di pensare?

Dopo il sistema 1 e 2 a cui ci aveva abituato la mentente geniale di Daniel Kahneman, arriva il sistema zero. Almeno, così a stare a quanto espresso dal team di ricercatori coordinato dal professore Giuseppe Riva dell’Università Cattolica di Milano, in un articolo apparso il 22 ottobre 2024 su Nature Human Behaviour, “The case for human–AI interaction as system 0 thinking”.

Se il sistema 1 è intuitivo e veloce e il sistema 2 lento e razionale, il sistema 0 non è altro che la forma di pensiero basato sull’intelligenza artificiale. Già da decenni siamo abituati a memorizzare molti dati non nel nostro cervello biologico, ma esternamente su hard disk, cloud e altre infrastrutture hardware; oggi, grazie alle tecnologie a base IA, possiamo esternalizzare non solo la memoria, ma anche parte dei ragionamenti e delle decisioni.

Origini, caratteristiche e vicende del sistema zero

L’espressione sistema 0 non fa altro che descrivere in modo indubbiamente enfatico ed evocativo la situazione in cui gli umani verranno a trovarsi quando l’intelligenza artificiale sarà definitivamente affermata.

Dal livello di gonfiaggio dei penumatici della macchina, alla gestione domestica, alla regolazione del traffico e all’assunzione del personale, gli ambiti in cui nuovi tool basati su queste nuove tecnologie affiancheranno gli umani saranno infatti innumerevoli.

Ma quali sono le caratteristiche del sistema 0? Essendo basato su macchine, questo sistema è sicuramente molto veloce e performante, ovviamente data driven, e in grado di processare miliardi di dati in frazioni di secondo. Tuttavia, non è assolutamente consapevole di quello che fa, è cioè privo di coscienza.

Questa sua caratteristica salva gli umani e ne rende indispensabile la presenza: il sistema zero deve cioè essere affiancato dagli altri due sistemi, cioè da un cervello umano per poter funzionare correttamente e dare il massimo. Chi utilizza in modo critico e consapevole i vari tool di AI come ChatGpt, sa bene di come questi strumenti siano soggetti a errori anche gravi e agli stessi bias cognitivi che affliggono le loro controparti organiche.

I rischi del sistema zero

La cattiva notizia sta, come sempre, non tanto nelle macchine, ma nella tendenza tutta umana di utilizzarle in modo improprio. Riva osserva infatti che è facile cadere nella pigrizia accettando passivamente ogni input che esce da questi strumenti, anzi, accordare a loro una fiducia eccessiva. Ciò può portare nel tempo alla perdita delle facoltà critiche e di quelle skills tipicamente umane che ci differenziano dalle macchine e ci rendono ancora superiori ad esse.

Un altro aspetto del sistema zero è che molte persone tendono ad analizzarsi e a fare quell’indispensabile attività di introspezione delle loro emozioni e di storytelling interno che è indispensabile al benessere mentale utilizzando proprio questi tool.

In sostanza, si potrebbe avere un futuro prossimo in cui ci leggiamo e interpretiamo attraverso la lente del sistema zero, senza considerare i problemi di capacità e affidabilità dell’intelligenza artificiale a svolgere un compito così delicato e i rischi di sottile manipolazione a cui ci esponiamo involontariamente in questo tipo di operazioni.

In conclusione, delegare il ruolo di intimo confessore al sistema zero potrebbe rivelarsi un errore, come anche sviluppare un’eccessiva fiducia verso questo tipo di prodotti. L’educazione e la formazione a questi nuovi strumenti svolti su scala di massa diventa dunque necessario non solo nell’ottica di adeguamento del sistema paese a questa rivoluzione tecnologica, ma anche nel quadro di salvaguardare la salute psicologica e mentale dei cittadini e la loro sicurezza.

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Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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