Ormai lo sanno tutti: la vera qualità, per un designer di realtà virtuale, è il realismo: più un ambiente virtuale è simile alla realtà del mondo là fuori, più elevato sarà il coinvolgimento e l’immersività di ciò che andiamo a progettare.
Tuttavia, aumentare il realismo di un videogioco, del metaverso o di una presentazione dove si entra virtualmente in un ufficio non è certamente senza costi, spesso assai elevati sia in termini di risorse informatiche che economici.
Si pone, in sostanza, un classico problema di ottimizzazione: realismo sì, ma fino a che punto? È veramente necessario arrivare all’imitazione perfetta del mondo reale?
L’esperienza empirica ci dice che basta abbassare di poco l’asticella per ottenere ambienti virtuali comunque altamente immersivi e coinvolgenti ma più economici di quello che sarebbe la perfezione. Il problema è capire: quanto deve essere realista l’ambiente che andiamo a disegnare? Ci sono degli indici oggettivi?
I test condotti dalla Royal Danish Academy di Copenaghen con elettroencefalografo
Una prima risposta a queste domande è stata tentata dalla Royal Danish Academy di Copenaghen. In uno studio condotto su un campione di 48 studenti con elettroencefalogramma in cooperazione con la società di ricerche Neurons, si è testata la reazione ad ambienti virtuali di diverso livello di dettaglio.
In particolare, gli ambienti virtuali a cui erano esposti i partecipanti al test erano uno ricco di dettagli e altamente vicino alla realtà, uno con pochi dettagli e l’ultimo a dettagli elevati grazie all’utilizzo di una tecnologia a scansione laser all’avanguardia di un ambiente reale.
I risultati dei test confermerebbero che il coinvolgimento sia cognitivo che emotivo in ambienti virtuali ricchi di dettagli è praticamente uguale all’esperienza in un ambiente reale. La novità è però stato scoprire che l’ambiente creato con scansione laser risulterebbe addirittura troppo impegnativo per la sua eccessiva complessità.
Realista ma non troppo?
In conclusione, dettagli e realismo sì, ma senza esagerare: almeno, queste sembrerebbero essere le indicazioni ricavate comparando i risultati dei vari test. Viene confermata l’esistenza di una sorta di range ottimale di alta definizione entro la quale uno spazio virtuale assicura le massime prestazioni in termini di coinvolgimento ed esperienza utente che tuttavia non coincide con una imitazione fedele al 100% degli spazi reali.
Scendendo a livello pratico, con questo tipo di test possiamo misurare il coinvolgimento al variare del livello di dettagli e ottenere una funzione che ci dirà qual è il miglior compromesso possibile tra dettagli, costi e coinvolgimento.
Le neuroscienze ci offrono in sostanza un nuovo prezioso strumento per aiutarci a progettare spazi virtuali e forse, tra poco, anche fisici.
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Leggi lo studio della Royal Danish Academy