L’applicazione delle neuroscienze alle narrazioni (Neurostorytelling) è probabilmente l’ultima, ma anche la più affascinante frontiera aperta dalla ricerca scientifica contemporanea.
Le scoperte sui neuroni specchio hanno infatti gettato per la prima volta uno spiraglio di luce sui complessi fenomeni che accadono non solo nel nostro cervello, ma in tutto il nostro corpo quando leggiamo una storia, guardiamo un film, siamo a teatro, a un concerto o in una galleria d’arte.
Lo storytelling coinvolge tutto il corpo
Una scoperta destinata a cambiare il modo con cui guardiamo allo storytelling è che il potere delle narrazioni va ben oltre il puro lato mentale coinvolgendo in maniera automatica e profonda tutto il sistema ormonale e muscolo-scheletrico.
Ciò avviene perché quando ascoltiamo una storia mimiamo e replichiamo internamente in maniera automatica e inconsapevole azioni, emozioni, sensazioni dei personaggi. Ecco spiegato il grande potere delle narrazioni; è come se trama e protagonisti si incarnassero direttamente nella nostra carne e nei nostri nervi.
Anche fenomeni ritenuti centrali nell’esperienza di godimento emotivo e cognitivo di qualsiasi storia come l’immedesimazione narrativa (l’identificazione con uno dei personaggi) e il trasporto narrativo (la sensazione di viaggiare dentro la storia e staccarsi dalla realtà) sono stati oggetti di ricerche approfondite.
Si è così dimostrata la capacità dello storytelling nel modificare o addirittura cambiare opinioni e atteggiamenti di un grande numero di persone, fondandone l’utilizzo in campi come la pubblicità, la propaganda e la politica.
Altre scoperte notevoli che dobbiamo alle ricerche di narratologia cognitiva e neuronarratologia sono state il superamento del modello del viaggio dell’eroe e l’individuazione e descrizione delle strutture narrative più efficaci per costruire una trama, particolarmente nel campo della comunicazione pubblicitaria e commerciale, ma anche politica e addirittura militare.
L’effetto Heider-Simmel
Le scoperte delle neuroscienze sugli effetti delle narrazioni e dello storytelling non si fermano però qui. Nel 1944 gli psicologi Fritz Heider e Marianne Simmel idearono un esperimento in cui venivano mostrati a un campione di persone un cartone animato che rappresentava due triangoli e un cerchio in movimento dentro e attorno ad un rettangolo aperto.
I movimenti dei tre oggetti venivano nella maggioranza dei casi interpretati come quelli di due innamorati inseguiti da un terzo soggetto poi respinto, anche se di per sé non avevano un particolare significato.
Quello che è stato definito effetto Heider Simmel è stata la prima dimostrazione sperimentale sia del bisogno tutto umano di creare continuamente delle storie per dare un senso alla realtà, sia della nostra tendenza a illuderci con questo nostro continuo storytelling interno che ci porta istintivamente ad attribuire intenzioni a fenomeni che ne sono privi e a vedere cause che non ci sono, esponendoci volenti o nolenti a ogni tipo di inganno.
Bruner, il pensiero narrativo e l’interprete
L’importanza delle narrazioni e dello storytelling per la creazione del senso del mondo venne ripresa negli anni ’80 dallo psicologo Jerome Bruner, uno dei massimi esponenti del cognitivismo.
Il punto centrale del suo pensiero è che le narrazioni sono lo strumento principale che gli esseri umani hanno a disposizione per dare significato alla realtà e costruire la loro identità personale.
Queste due operazioni vengono svolte attraverso la rielaborazione che facciamo continuamente nel nostro intimo dei nostri fatti e vicende personali e che assume la forma di un’incessante narrazione autobiografica.
Più di recente, l’importanza di questa continua funzione narrante del cervello ha ispirato due neuroscienziati, Michael Gazzaniga e Matt Roser, che hanno ipotizzato l’esistenza di un network cerebrale tra le pieghe corticali e sottocorticali dell’emisfero sinistro (chiamato “interprete“) deputato col collante dei nessi di causa-effetto a tenere assieme i frammenti di informazione che attraversano continuamente il nostro cervello.
Il problema dell’interprete è che, come ogni vero storyteller, non è per niente oggettivo: quando è in azione l’interprete improvvisa, crea la prima spiegazione che abbia un senso e poi agisce senza verificare i fatti e le correlazioni.
Per fortuna esistono anche aree della corteccia cerebrale che svolgono un prezioso lavoro di critica alle tendenze verso lo storytelling più sfrenato di questa struttura. Tuttavia, l’aspetto pericolosamente manipolatorio di qualsiasi narrazione non può essere negato.
Neurostorytelling e manipolazione
Se da una parte è vero che il cervello umano ha bisogno di narrare per creare un senso del mondo e che ciò può essere considerato un importante salto evolutivo, come giustamente osservato da studiosi di narratologia come Lewis Carrol, dall’altra lo storytelling e le narrazioni sono un arma a doppio taglio, in quanto possono essere utilizzate come strumento di manipolazione o addirittura modellazione della personalità di intere società.
La ricerca più recente ha, per esempio, messo in luce la correlazione tra scene di violenza e stimolazione di comportamenti aggressivi in soggetti predisposti.
Il potere dello storytelling come arma di manipolazione e propaganda, del resto, è conosciuto fin dall’inizio della storia. Oggi, però, la combinazione tra nuove tecnologie digitali, intelligenza artificiale e neuroscienze rendono l’utilizzo distorto delle narrazioni particolarmente efficace e pericoloso, come gli scandali crescenti legati alle fake news continuamente dimostrano.
Non è certamente un mistero l’interesse dei militari per queste ricerche, tanto che il MISO (Military Information Support Operations) conduce da tempo operazioni: “to convey selected information and indicators objective reasoning, and ultimately the behavior of foreign governments, organizations, groups, and individual.”
Recentemente, è stato perfino pubblicata una sorta di guida per rendere lo storytelling persuasivo redatta proprio sugli studi condotti dagli psicologi dell’esercito degli Stati Uniti.
C’è anche chi parla ormai apertamente di guerre cognitive, ossia operazioni di propaganda occulta perpetrate da attori come Russia e Cina per indebolire o penetrare i paesi occidentali, al punto lo stato maggiore dell’esercito italiano ha dovuto predisporre un apposito documento al riguardo.
Tra le contromisure che si possono adottare per contrastare i lati negativi del neurostorytelling ricordiamo l’educazione critica, l’obbligo di trasparenza, ossia il dover indicare nelle campagne pubblicitarie se sono state utilizzate alcune di queste tecniche, la promozione di organismi indipendenti di verifica dei fatti, il varo di codici etici e deontologici.
Qualche esempio pratico di neurostorytelling
D’altro canto, se utilizzato correttamente e in modo rispettoso di standard legali ed etici, il Neurostorytelling può essere di grande aiuto per confezionare contenuti più efficaci o anche per aumentare la consapevolezza e quindi le nostre capacità di difesa contro le manipolazioni.
Vediamo qualche esempio. Prendiamo la pubblicità empatica per promuovere un prodotto salutare:
Approccio Neurostorytelling: Creare un racconto coinvolgente che narra la trasformazione positiva nella vita di una persona grazie al consumo del prodotto. Si potrebbe mostrare visivamente il viaggio emotivo, con momenti di sfida superati e successi ottenuti grazie a una dieta equilibrata.
Spiegazione e giustificazione: Gli spettatori si immedesimano nella storia, attivando i neuroni specchio e associando emozioni positive al prodotto. Ciò potrebbe influenzare le scelte alimentari degli spettatori, basandosi sull’esperienza emotiva condivisa attraverso la narrazione.
Misurazione dell’efficacia della campagna: con i test di neuromarketing, è oggi possibile avere un’idea, per quanto approssimativa, dell’efficacia della campagna già in fase di progettazione. La combinazione di tecniche ibride tra neuroscienze, big data e intelligenza artificiale potrebbe affinare e migliorare ulteriormente i test.
Un altro esempio potrebbe essere una campagna politica per favore misure contro il cambiamento climatico.
Approccio Neurostorytelling: Creare storie di individui comuni nella comunità che hanno subito direttamente i cambiamenti climatici. Attraverso interviste e narrazioni coinvolgenti, si potrebbe evidenziare l’impatto reale sulla vita quotidiana delle persone.
Spiegazione e giustificazione: gli elettori potrebbero identificarsi con le storie presentate e connettere emotivamente la proposta di legge all’esperienza personale. Ciò potrebbe influenzare positivamente l’opinione pubblica e generare sostegno per l’iniziativa politica.
Esempi di applicazioni delle neuroscienze allo storytelling si hanno anche in terapia, nel coaching e nelle varie tecniche di self-empowerment che cercano, in misura maggiore o minore, di ridefinire la narrazione interna che facciamo di noi in modo da renderla più ottimista, stimolante e costruttiva.
In conclusione, tutto dipende come sempre da noi, anche nello storytelling: la scienza di per sé è neutra, sta all’uomo saperla utilizzare in modo costruttivo e per produrre benessere, e non malessere e conflitti.
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