Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, è passato alla storia per la prima adozione su larga scala delle cosiddette politiche a tolleranza zero, vale a dire la repressione sistematica perfino della minima violazione delle norme sociali, come buttare la carta per terra o rompere una bottiglia di vetro.
Dietro tanta severità non si nascondono incontrollabili istinti sadici, ma un calcolo molto razionale basato sulle teorie formulate negli anni ’80 da due famosi criminologi, James Q. Wilson e George L.Kelling.
Secondo quella che fu ribattezzata: politica delle finestre rotte, il degrado urbano (bottiglie infrante, spazzatura per le strade, finestre rotte, edifici fatiscenti) trasmette di per sé un senso di licenza che favorisce le attività criminali. Da qui la necessità di contenerlo il più possibile, anche con misure di tipo repressivo.
Conferme sperimentali delle politiche a tolleranza zero
La teoria delle finestre rotte prende il suo nome da un esperimento condotto dal professor Philip Zimbardo nel 1969.
Furono abbandonate due autovetture, una nel Bronx, noto quartiere degradato di New York, l’altra in un quartiere residenziale di lusso in California. Come c’era da aspettarsi, mentre nessuno toccava quella lasciata nel quartiere residenziale, l’autovettura lasciata nel Bronx veniva prontamente smantellata e svaligiata.
I due studiosi, a questo punto, ruppero un finestrino dell’autovettura abbandonata nel quartiere residenziale. Improvvisamente, anche in questo caso si assistette a un rapido processo di deterioramento, con gli abitanti del quartiere di lusso che cominciarono ad asportare e rubarne le parti.
L’esperimento dimostrerebbe che la povertà da sola non basta a spiegare la criminalità. Sono necessari anche un ambiente e delle condizioni di vita degradate, sia in senso materiale che sociale.
Evitare il degrado imponendo il rispetto delle regole sociali, anche le più minute e banali, avrebbe invece una sorta di effetto virtuoso, nel senso che porterebbe tendenzialmente al rispetto di tutte le regole. Questo collegamento tra osservanza di regole apparentemente insignificanti e il rafforzamento della legalità viene chiamato: cross-norm effect.
Critiche alla teoria della tolleranza zero
Come il lettore può immaginarsi, la teoria delle finestre rotte è stata oggetto di diversi esperimenti per confermarla e precisarla, oltreché a numerose critiche.
Uno studio recente pubblicato in Svezia fa il punto sullo stato dell’arte degli studi in materia, dimostrando che in molti casi i test sarebbero viziati da scarsa attendibilità e mancata replicabilità, oltre a dimostrare che il collegamento tra degrado e incitazione alla violazione delle regole è molto meno forte di quanto si pensasse. Ciò ridurrebbe di molto la portata e gli ambiti applicativi della teoria.
Anche negli Stati Uniti, il paese dove la teoria è nata, dopo una fase di entusiasmo le perplessità e i dubbi sono in forte aumento perfino tra le stesse autorità preposte all’ordine pubblico che cominciano a nutrire forti dubbi sull’efficacia delle politiche a tolleranza zero.
Sicuramente, una grossa incidenza ce l’ha anche il modo con cui questa teoria viene concretamente applicata. Negli anni ’80 la polizia di New York utilizzò un approccio molto flessibile, evitando in molti casi gli arresti o i fermi di polizia e limitandosi a dei semplici avvertimenti o multe. In sintesi, tolleranza zero non vuol dire sdoganare politiche di repressione brutali o da sceriffo.
Tolleranza zero e design urbano
Studi più recenti hanno evidenziato il ruolo del disordine nel degrado e nei comportamenti criminali, nel senso che un ambiente fisico che sembra disordinato potrebbe influenzare le persone e renderle più proponesse a infrangere le regole.
Il concetto di ambiente pulito e ordinato è collegato a quello di bellezza. Che l’estetica di uno spazio attivi alcune aree del cervello collegato al sistema della ricompensa sembra essere stato dimostrato da uno studio neuroscientifico spagnolo; d’altro canto, il collegamento tra bellezza dell’ambiente, arte e terapia, anche dei comportamenti devianti, è diventato ormai un oggetto attivo di ricerca da molti anni.
E non mancano gli studi hanno mostrato una correlazione tra ambiente urbano e benessere delle persone, fondando una nuova branca della neuroarchitettura che viene chiama neurourbanismo.
Particolare importanza avrebbero, sotto questo profilo, gli spazi verdi e la presenza di una adeguata biodiversità anche nelle città. Evitarne il degrado sarebbe dunque necessario per qualsiasi municipalità.
Oltre il degrado urbano: dal politically correct all’intelligenza artificiale
Non sono solo le finestre rotte a trasmettere quel senso di incuria che funge da innesco di comportamenti licenziosi e criminali. Il discorso varrebbe anche per il turpiloquio, l’aggressività nei comportamenti familiari o nel linguaggio, la maleducazione, la tendenza all’abuso e alla mancanza di rispetto di leggi, norme e regolamenti, e via di seguito.
Questo potrebbe portare a estendere le politiche a tolleranza zero ben oltre il tradizionale ambito della lotta al degrado urbano. Anche la richiesta di aderire nei dibattiti e nella vita politica a pratiche di contenimento di insulti, parole offensive, frasi allusive e via di seguito verso determinate categorie di persone (il cosiddetto: Politically correct) potrebbe essere visto come una particolare forma di politica a tolleranza zero.
Un ultimo aspetto che merita un cenno è la possibilità di implementare politiche di tolleranza zero mediante un controllo sociale gestito da algoritmi e dall’intelligenza artificiale, implementando ad esempio forme di social scoring (crediti sociali) fondati su questa teoria.
Tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze ciò andrebbe visto come un esempio di utilizzo distorto delle scoperte della psicologia sociale proprio perché lo status della teoria delle finestre rotte è ancora alquanto indefinito, si tratta cioè ancora di qualcosa che manca di effettiva verifica e che è ancora oggetto di studio.
In conclusione, non basta dire: tolleranza zero, molto dipende da come concretamente vengono progettate e applicate queste politiche e su quali basi, per cui sarebbe bene avere un approccio ad esso di grande cautela e prudenza.
D’altro canto, le ricerche condotto sugli ambienti degradati possono non solo aprire nuove frontiere della ricerca, ma essere anche utili a chi si occupa di progettazione degli spazi, sia interni che urbani, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo di discipline come la neuroarchitettura e il neurodesign.
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