Imparare non è facile, e la scuola resta, per certi versi, un’esperienza impegnativa per tutti noi. Non sorprende che da secoli si susseguono consigli, trucchi ed espedienti di ogni genere per facilitare il difficile lavoro di essere studente, come del resto per copiare i compiti e farla franca agli esami.
Le neuroscienze cognitive non potevano mancare all’appello nella lista delle discipline in grado di migliorare l’esperienza dell’apprendimento. Del resto, quale migliore approccio di quello di partire dalla comprensione dei nostri processi mentali e cerebrali?
Ricordiamo che il contributo di queste discipline all’educazione e alla formazione è massiccio e robusto ormai da molti decenni, in particolar modo nel campo della formazione di tipo aziendale.
L’importanza dell’emozioni
La regola di base è riuscire a mescolare in modo fluido stimoli sensoriali, emozioni e ricordi nell’esperienza di studio per creare esperienze coinvolgenti e ricche. Le emozioni svolgono infatti un ruolo chiave nell’apprendimento, in quanto sono un fattore potente di fissaggio delle nozioni apprese.
Il motivo potrebbe essere nel profondo radicamento che le emozioni hanno nei nostri meccanismi di premio e ricompensa. Riuscire a risolvere un problema, dopotutto, ci rende felici, come del resto passare un esame.
Agganciare nuovi concetti all’esperienza e alla cultura di chi li riceve, cioè alla sua memoria, risulta un consiglio applicato nella formazione aziendale e non solo ormai da decenni.
Usare lo storytelling
Scendendo a livello pratico, come fare per migliorare il coinvolgimento emotivo durante un attività che non sempre è piacevole e motivante? Un buon metodo può essere adottare alcuni specifici formati educativi, come ad esempio l’utilizzo delle storie e delle narrazioni.
La forma narrativa e l’utilizzo dello storytelling risultano infatti non solo più coinvolgenti, ma anche più semplici e naturali.
Ciò deriva dal fatto che la mente tende a usare parecchio le narrazioni per organizzare l’esperienza e dare senso a ciò che ci accade intorno. Insomma, spiegare per storie vuol dire ricorrere a qualcosa di molto naturale per il nostro cervello.
Ben vengano dunque aneddoti, storielle esemplificative, spiegazioni di come si è giunti a determinate soluzioni.
Approcci multisensoriali e multimediali
Anche il ricorso a video e immagini aiuta in modo significativo qualsiasi processo di apprendimento. La ragione è che le immagini, i suoni e i movimenti attivano le vie sensoriali, più immediate e collegate al nostro vissuto dei concetti astratti.
Questo è anche il motivo per cui l’utilizzo di formati diversificati, che fanno cioè leva su diversi media (scritto, parlato, visivo) per spiegare lo stesso concetto, si rivela nella stragrande maggioranza dei casi una strategia vincente.
Il motivo? Vengono coinvolti più vie sensoriali, col risultato di creare percorsi di apprendimento maggiormente stimolanti ed emozionanti e con maggiore memorizzazione.
Anche il ricorso al dialogo e all’interazione, la base del metodo di Socrate, è una strategia molto potente e immersiva. La ritroviamo nel lavoro di gruppo, in cui si chiede a una piccola squadra di interagire per riuscire a risolvere un problema o raggiungere un risultato.
Gestire il carico cognitivo
Un grande contributo dato dalla psicologia cognitiva è stato comprendere il carico cognitivo, un parametro che oggi può essere misurato anche con alcuni strumenti come l’elettroencefalografo.
Più una nozione è complessa, più è impegnativa. Un buon metodo per ridurre il carico cognitivo è quindi quello di spezzarla in tanti punti distinti più semplici da comprendere.
Vi sono poi alcune tecniche che qualsiasi buon studente conosce da secoli ma che sono modellate su precisi meccanismi cerebrali, come il ripasso distribuito, che prevede di ripetere informazioni a intervalli regolari nel tempo e che sfrutta la capacità del cervello di consolidare ricordi a lungo termine.
Anche comprendere il concetto di chiusura concettuale può essere di aiuto. Dividete l’apprendimento in segmenti con un preciso inizio e fine, in modo da favorire la memorizzazione.
Saper fare i collegamenti
Un altro approccio è la trasversalità, detta anche contaminazione incrociata: si abbattono le tradizionali barriere del sapere integrando più discipline, ad esempio guardando all’arte con un occhio scientifico, o considerando nei problemi scientifici anche l’approccio di discipline come la filosofia.
Questo approccio riflette la natura integrativa del cervello, favorendo competenze innovative nella risoluzione dei problemi.
Allo stesso modo, la pratica di collegare concetti nuovi a quelli già conosciuti, nota come apprendimento contestuale, ottimizza l’elaborazione delle informazioni nel cervello basata sulla sua natura di rete.
Utilizzare il gioco
Il gioco è forse il metodo più immediato e naturale per imparare, consiste nel copiare e ripetere dinamiche che osserviamo intorno a noi in un contesto sicuro dove possiamo apprendere e sperimentare senza rischi.
Simulare situazioni reali in un contesto virtuale tramite videogiochi è un metodo sempre più utilizzato e che consente di muovere i primi passi nei contesti più diversi, da imparare a guidare un aereo a sapersi muovere in società.
Un altro punto di grande forza dei giochi è l’immersività e il realismo: tutti i nostri sensi e le nostre facoltà vengono stimolate in modo coinvolgente ed emozionante, ottenendo dunque il massimo anche in termini di memorizzazione.
Evitare distorsioni nel processo di apprendimento
Come diceva Kant, ognuno di noi guarda al mondo dalla sua prospettiva, il che può essere deformante e portare a una visione soggettiva e arbitraria.
Le neuroscienze cognitive hanno svolto un lavoro prezioso nella ricerca, studio e analisi di queste distorsioni cognitive, chiamate Bias. Esserne consapevoli può essere di grande aiuto sia per gli insegnati, sia per gli studenti, in modo da avere un apprendimento il più possibile libero da preconcetti ed errori.
I bias possono essere sfruttati anche per migliorare il processo di apprendimento; sapere che tendiamo a ricordare la fine di un discorso può ad esempio aiutarci a confezionare dei contenuti formativi più efficaci in termine di memorizazione.
La personalizzazione della didattica e dei metodi
Infine, le neuroscienze e l’intelligenza artificiale potrebbero aprire prospettive nel campo della personalizzazione dell’apprendimento. Ogni cervello è infatti diverso dall’altro e risponde in modo unico agli stimoli.
Avete mai sentito parlare di neurodivergenza? Semplicemente, non è detto che ciò che va bene per la maggioranza vada anche bene per tutti.
Con le nuove tecnologie, forse in futuro sarà possibile mappare l’attività cerebrale delle persone per adattare i materiali didattici alle loro specifiche esigenze, portando a una maggiore efficacia e motivazione nell’apprendimento.
I limiti e le critiche
Non tutto è oro quel che luccica, e anche le neuroscienze cognitive possono fare danni se male impiegate.
La tendenza a semplificare tutto, ad esempio, può essere utile in contesti come la formazione aziendale, ma non nell’educazione secondaria, dove invece è necessario preparare e formare le menti degli adolescenti ad affrontare compiti che richiedono impegno, sforzo e disciplina.
Un altro aspetto da tenere presente è che molte scoperte sul cervello non sono definitive e potrebbero quindi portare alla creazione di veri e propri neuromiti, cioè di teorie destinate a essere superate, o a semplificazioni grossolane e pericolose, le neurobufale.
Ciò vale con particolare riferimento al possibile impiego delle neuroscienze assieme ad algoritmi o all’intelligenza artificiale. L’insegnante umano, con la sua esperienza e sensibilità, è ancora imprescindibile per valutare e stimolare il potenziale di ogni allievo.
Per non parlare infine del problema dei dati raccolti, che pongono fondate preoccupazioni di tutela della privacy.
In conclusione, le neuroscienze cognitive sono indubbiamente uno strumento formidabile per l’educazione, ma vanno affrontate e applicate con prudenza e competenza, e non in maniera superficiale o dogmatica.
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