Il linguaggio visivo riveste da sempre un’importanza cruciale nella creazione di qualsiasi tipo di contenuto promozionale, sia online che offline.
Non sorprende quindi la crescente applicazione del neuromarketing alle immagini, sia a scopi di testing che in fase di progettazione.
L’affermazione: “Un’immagine vale più di mille parole” risulta infatti ancora più vera se riusciamo ad applicare il rigore delle neuroscienze al mondo della fotografia e dell’illustrazione commerciale.
Ma alla fin della fiera, cosa possiamo imparare come creativi, fotografi, creatori di contenuti e designer dal neuromarketing? Non è una disciplina troppo tecnica?
La risposta è che il neuromarketing ha qualcosa da insegnare anche a chi non è uno specialista.
In questo articolo, esploreremo le regole principali che possiamo dedurre dalle neuroscienze per la creazione di foto non solamente belle, ma capaci di convertire e restare impresse nella memoria.
Neuromarketing e immagini: le due regole principali
I due punti chiave che il neuromarketing ci insegna sull’utilizzo delle immagini sono due:
Dei cinque organi di senso la vista è il principale.
Noi umani siamo una specie “visually oriented”: il 90% degli stimoli che ci arrivano provengono dagli occhi e hanno una velocità di elaborazione di meno di un decimo di secondo. Un’immagine raggiunge il centro del vostro cervello prima ancora che avete iniziato a pensarci su.
Il linguaggio visivo resta quindi il miglior strumento per parlare a quello che i neuroscienziati definiscono cervello veloce, ossia la parte della mente che gestisce in modo inconscio e automatico oltre il 90% dei nostri processi intellettivi e decisionali.
Il tipo di attenzione di chi guarda le immagini è in genere di tipo selettivo.
Nell’attenzione selettiva, l’osservatore cerca e seleziona quello che ha in testa e non vuole essere distratto da elementi estranei. Come spiega il ricercatore Andrea Ciceri, nel suo articolo di introduzione alla comunicazione visiva pubblicato su questo blog:
Gli elementi visivi che vengono focalizzati sono quelli a cui siamo interessati in base all’obbiettivo che abbiamo in testa (pere capire l’età di una persona guarderò il suo viso o altri elementi che mi permettono di comprenderlo) o viste le caratteristiche particolari che lo contraddistinguono.
Una prima conseguenza di questa scoperta è la possibilità di orientare e guidare lo spettatore che guarda un’immagine facendogli compiere un determinato percorso con gli occhi, in modo da portarlo a prestare l’attenzione sugli elementi grafici desiderati dal designer.
La seconda è l’avversione o fastidio degli utenti per tutti gli elementi che distraggono dalla ricerca, tra cui i banner pubblicitari che non sono pertinenti con quello che tanto affannosamente stiamo cercando.
Il codice visivo secondo le neuroscienze
I numerosi studi di neuromarketing compiuti sul linguaggio visivo negli ultimi decenni hanno permesso ai ricercatori di dedurre un vero e proprio codice che è bene conoscere prima di scattare il pulsante dell’otturatore o scegliere la foto di copertina del blog.
Vediamone le regole principali:
Le immagini vengono sempre viste
Si può saltare un blocco di testo, ma è veramente difficile distogliere lo sguardo da una fotografia: quest’attrazione fatale che le immagini esercitano su di noi è una diretta conseguenza della natura della vista di via primaria percettiva.
Proprio per il forte potere attrattivo delle immagini il neuromarketing ci consiglia di mettere sempre prima la foto del prodotto, poi la sua descrizione. Analogamente, si metterà prima la foto che illustra o introduce il fatto e poi il testo dell’articolo o del post.
Le immagini creano più fiducia di un testo
Tra testo e foto le seconde hanno più autorità. Più in generale, gli elementi grafici di un sito web rivestono un ruolo chiave nel creare fiducia negli utenti.
Queste sono le conclusioni a cui sono giunte le ricerche di neuromarketing sulle immagini dell’università Victoria di Wellington, in Nuova Zelanda: in un esperimento, si è dimostrato che dei contenuti testuali accompagnati da foto riscuotevano più fiducia degli stessi testi senza elementi visivi, anche quando queste non erano strettamente correlate al testo.
In un altro esperimento ideato dai due ricercatori Gustav Bergman e Felix Norén, sono stati somministrati al campione diverse versioni grafiche dello stesso sito. I layout in cui è stato speso più tempo per curarli e renderli di aspetto professionale sono quelli che hanno riscosso più fiducia nel campione testato.
Le immagini iniziali sono il frame dell’intero articolo
Dimmi come ti presento, e ti dirò chi sei. Si dice che la prima impressione è quella che conta, e l’espressione che utilizziamo per introdurre un argomento ha il sottile potere di predisporre favorevolmente o sfavorevolmente l’interlocutore.
Lo stesso discorso vale per ogni foto iniziale preposta a un testo, sia esso la descrizione di un prodotto o un articolo di giornale. Per cui è buona regola prestare particolare attenzione alla scelta e alla qualità di questo tipo di immagini, curandone anche la coerenza coi contenuti che seguono.
Le donne vedono di più degli uomini
Alcuni test compiuti su come viene visto il giudizio universale nella Cappella Sistina hanno dimostrato la differenza di visione tra uomini e donne.
Mentre gli uomini prendono in considerazione solamente alcune aree dell’immagine, le donne tendono a valorizzare tutti i dati e a vedere più dettagli, a essere più olistiche. Alcuni particolari che sfuggono agli uomini vengono quindi notati dal gentil sesso.
Le donne sono più attratte dai volti, in particolare di bambini e adolescenti. Infine, secondo alcune ricerche condotte presso la City University di New York sulla diversa visione uomo donna, queste percepiscono meglio le sfumature cromatiche, mentre gli uomini sono più bravi nello scorgere oggetti in movimento.
Prestate dunque sempre attenzione alla composizione in base al sesso del vostro pubblico, in particolare se volete utilizzare foto erotiche, che secondo alcune ricerche sulla pubblicità erotica le donne non sembrano gradire particolarmente.
Regola del contrasto
Per percepire un oggetto, è necessario che si crei una qualche forma di contrasto tra lo sfondo e l’oggetto stesso. Intuitivamente, non possiamo vedere una forma bianca su sfondo bianco, cominceremo però a percepirla se cominciamo a scurirla.
Tra le mille applicazioni di questo principio, ricordiamo la regola di posizionare i caratteri tipografici quando si scrive dentro una foto evitando che alcuni caratteri diventino poco e per nulla leggibili confondendosi con dei dettagli dell’immagine di colore o tonalità simile.
L’effetto cucciolo
Siamo attratti dai visi dei bambini e dei cuccioli, che istintivamente ci inteneriscono. Il caso più celebre è quello trattato negli anni ’90 dallo psichiatra inglese Robert Heath analizzando le differenze nella comunicazione tra due marche di carta igienica.
Heath scoprì che la presenza di un cucciolo di labrador nelle reclame era sufficiente a spiegare le differenze di vendite tra le due marche. Da qui il nome di: “effetto cucciolo” a questa euristica. Per una descrizione del caso, si rinvia all’articolo: “Neuromarkeitng e pubblicità”.
Frecce, punte, curve, simmetrie e quadrati
Siamo maggiormente attratti dalle linee curve che da quelle dritte o dalle forme squadrate, probabilmente per un ricordo ancestrale legato al seno materno, e troviamo più piacevole una figura simmetrica rispetto a una totalmente priva di proporzioni armoniche.
Alcuni studi sulla forma degli oggetti hanno indagato come le forme influenzano il nostro giudizio.
In un ristorante affollato, i tavoli quadrati suggeriscono professionalità, mentre in uno poco affollato vengono apprezzati i tavoli rotondi per la sensazione di calore e accoglienza che riescono a trasmettere.
Le punte indicano una direzione, oltreché segnalare una minaccia, e sono potenti guide dello sguardo. Bisogna quindi prestare attenzione alla direzione di questi elementi grafici perché possono facilmente distrarre il lettore e portarlo lontano dall’elemento che desideriamo evidenziare.
Regola dell’elemento centrale
Un elemento posizionato al centro dell’immagine catalizza fatalmente l’attenzione di chi guarda, e tra una serie di prodotti in fila tendiamo a scegliere quello in mezzo (effetto centro palco, o “central gaze cascade effect” in inglese).
Ricordatevi di questa semplice regola se dovete fare una foto che mostra diversi prodotti su uno scaffale.
Effetto Von Restorff
L’effetto centro palco viene rafforzato se l’elemento centrale è anche diverso dagli altri, sommando quello che viene definito effetto Von Restorff, per cui in una sequenza di oggetti ricordiamo quelli che presentano delle caratteristiche insolite.
L’effetto Von Restorff è uno dei più utilizzati in pubblicità.
Regola della direzione dello sguardo
Siamo attratti maggiormente dai volti, e in particolare dagli occhi, al punto che seguiamo la direzione in cui guarda la modella o il modello fotografato. Nelle foto pubblicitarie, bisogna quindi stare attenti a che lo sguardo della persona nella foto non miri in una direzione che allontana il consumatore dal prodotto.
Utilizzo delle immagini dei volti
I volti sono uno dei fattori più potenti di attrazione, oltre alle persone in movimento. Se date uno sguardo ai social, non è difficile verificare empiricamente che le foto con dei volti sorridenti riscuotono molti più like di altri tipi di immagine.
La ragione sembra legata al meccanismo dell’empatia, una caratteristica tipicamente umana che ci ha permesso di evolverci come specie sociale. Ci rispecchiamo emotivamente nel volto che vediamo, motivo per cui un sorriso ci tira su l’umore, mentre una espressione corrucciata ci mette automaticamente in un atteggiamento/vigilanza.
L’utilizzo dei volti in pubblicità è massiccio, ma non mancano i rischi. Andrea Saletti, specialista di neruomarketing, sottolinea che l’applicazione del neuromarketing alle immagini che contengono dei volti deve necessariamente rispettare alcune cautele.
- Il contesto influenza la percezione del volto e dell’emozione che trasmette, e quindi l’efficacia di un bel sorriso. Più il viso è visibile nella foto, più chiaro ed efficace il suo effetto emozionale.
- La sceneggiatura in cui è inserito il volto è anch’essa importante. Deve sembrare il più possibile naturale, come non deve apparire forzata l’espressione del viso. Le persone, oltre a essere naturalmente diffidenti, dispongono di meccanismi psicologici per fiutare se un’espressione è autentica o meno.
- Per le due ragioni sopra esposte, i primissimi piani sono meno efficaci delle foto a mezzo busto o a corpo intero, ed è bene evitare foto con sfondi vuoti, tranne che nel caso di foto di prodotto.
- Vi sono differenze nella percezione dei volti non solo tra i sessi, ma anche tra etnie. Se i caucasici guardano gli occhi, altre razze guardano il naso. In un mondo sempre più multietnico e globale, anche questi dettagli possono fare la differenza.
Utilizzare immagini lucide
Oltre al colore e alla forma, un fattore potente di attrazione è la lucidità, probabilmente perché associato all’acqua, elemento fondamentale per la sopravvivenza. Questo spiega l’impiego dei colori lucidi e brillanti in moltissime reclame e delle stampe e foto patinate.
Anche utilizzare delle immagini specchiate può essere una buona strategia per sfruttare questo particolare effetto.
Carico cognitivo nelle immagini
Come nel caso dei testi, esiste un problema di carico cognitivo anche per le immagini. Più ricche di elementi e oggetti esse sono, più tempo ci impiega il cervello a processarle. E se i dettagli o gli elementi sono troppi, chi guarda potrebbe arrivare a distogliere lo sguardo.
Bisogna però tenere presente che alcuni fattori influenzano la capacità di leggere un’immagine. Ad esempio, alcuni esperimenti hanno dimostrato che chi è più vecchio fa meno fatica a vedere immagini molto complesse perché si è dotato di rappresentazioni olistiche della realtà.
Recenti studi hanno dimostrato come i paesaggi naturali siano meno difficili da guardare e quindi percepiti più rilassanti di quelli urbani.
Altri fattori che incidono sul carico cognitivo di una fotografia sono la nitidezza (le immagini poco chiare richiedono più sforzo), la salienza, l’adeguatezza dello sfondo, che non deve confondersi con gli elementi in primo piano, e il contesto in cui l’immagine viene collocata.
L’indicazione che ricaviamo dal neuromarketing è dunque non solo quella di curare la qualità grafica delle immagini, ma anche di ridurre all’essenziale gli elementi compositivi delle foto che utilizziamo, in modo da sfruttarne al massimo la potenza evocativa.
Questa regola è particolarmente importante per i loghi e le icone, che devono essere sufficientemente semplici da essere immediatamente riconosciuti e memorizzati.
Colori
I colori rivestono una grande importanza nel neuromarketing delle immagini per la loro capacità di suscitare emozioni e quindi coinvolgere. Le neuroscienze hanno chiarito che vediamo prima i colori, poi le forme e i movimenti (S. Zeki, Con gli occhi del cervello. Immagini, luci, colori, Di Renzo, Roma 2011, p.12).
A livello neurofisiologico, l’elaborazione dei colori è assai complicata, in quanto il cervello, per riconoscere un colore e quindi un oggetto, deve processare delle variabili come il tipo di illuminazione che dipendono fortemente dal contesto in cui l’oggetto si trova.
Se ad esempio spariamo un fascio di luce blu su una superficie bianca, questa sembrerà azzurrino pallido. Eppure, il nostro cervello riesce nella maggior parte dei casi a riconoscere che il colore della superficie è il bianco.
In altri casi questa operazione fallisce, e si creano delle illusioni ottiche di cui alcune diventate celebri come la scacchiera di Adelson, dove due quadrati con la stessa tonalità di grigio vengono percepiti come uno più chiaro e uno più scuro proprio per la forza condizionante degli elementi vicini.
Questi “fallimenti” sono alla base di molte opere d’arte grafica e figurativa il cui fascino risiede in un forte elemento di ambiguità visiva.
I fattori culturali e linguistici rivestono un ruolo importante nell’interpretazione del valore emozionale e sociale dei colori. Ad esempio, il colore del lutto è nero in Italia, ma bianco in Brasile. In generale, i colori caldi (rosso e giallo) sono eccitanti, quelli freddi (blu e verde) rilassanti.
In pubblicità, si è scoperto che i colori vividi attirano maggiormente l’attenzione, indipendentemente dalla loro valenza emozionale, motivo per cui vengono preferiti ai colori freddi.
Mulino Bianco utilizza il giallo per le sue proprietà rassicuranti, armoniose e calde, che si sposano perfettamente col messaggio incentrato sui valori di famiglia, affetti e genuinità che il brand vuole proporre.
La regola non è però assoluta; alcune reclame fanno leva sul contrasto tra il messaggio in bianco e nero e il contesto circostante colorato. In questo caso quello che attira l’attenzione è il contrasto percettivo, soprattutto quando innovativo e inaspettato.
Salienza
Il problema dei pubblicitari è non solo attirare l’attenzione, ma anche fare ricordare il messaggio. Le immagini si prestano particolarmente per questo scopo per la preminenza che ha la vista su tutti gli altri sensi.
Non stupirà che la salienza, ossia la capacità di un’immagine o dell’elemento di un’immagine di risaltare e farsi notare, sia una qualità particolarmente ricercata. Ma che cosa rende un’immagine saliente? Secondo la psicologia, i fattori chiave sarebbero due:
l’attenzione viene attirata da particolari che in qualche modo risaltano e si distinguono dallo sfondo, ad esempio una mela rossa su sfondo grigio, o un soggetto in movimento tra oggetti fermi.
A livello grafico, sotto questo profilo si può lavorare non solo sul contrasto cromatico, ma anche sulle forme e le dimensioni dei vari elementi che compongono un’immagine, sulla loro densità e movimento.
Il secondo fattore chiave che attira l’attenzione e contribuisce a farla ricordare è la presenza di piccole incongruenze rispetto a uno schema mentale conosciuto dal percettore (in-salienza). Esempio: una Ferrari particolarmente lenta e poco scattante.
Gli stimoli in-salienti sarebbero particolarmente interessanti per la pubblicità proprio per la loro qualità di essere memorizzati più facilmente dal cervello umano.
Un fattore che influenza gli effetti della salienza è l’esposizione ripetuta allo stimolo. Questo crea un effetto di familiarità in genere giudicato piacevole e positivo dall’osservatore, tranne nel caso che la salienza diventi eccessiva.
In situazioni di basso coinvolgimento del soggetto (ossia nella maggioranza dei casi), la familiarità porta inoltre a preferire un particolare oggetto saliente tra una serie di tanti oggetti tutti salienti e attraenti, come ad esempio nel caso dell’affollato scaffale di un supermercato.
L’esposizione ripetuta allo stimolo crea anche un altro fenomeno, quello dell’assuefazione: i benefici iniziali della salienza si stemperano e si perdono man mano che l’osservatore si abitua alla novità. Questa sarà efficace a condizione di non essere né troppo “disruptive”, né poco innovativa (in questo caso si crea noia).
A livello neuronale, la potenza delle immagini salienti sembra legata all’esistenza di una via diretta che bypassa quella ordinaria e consente al cervello risposte rapide e immediate a questo tipo di stimoli.
La teoria delle mappe di significato
I ricercatori Henderson e Hayes hanno messo alla prova la regola della salienza e hanno scoperto che in alcuni casi l’attenzione non cade su elementi salienti di un’immagine, ma su altri elementi che, pur non essendo salienti, rivestono un particolare significato per l’osservatore.
Hanno quindi elaborato un nuovo modello, detta teoria delle mappe di significato.
Secondo la nuova teoria, nell’analisi di ciò che attira l’attenzione in un’immagine bisogna prendere in considerazione non solamente la complessità visiva (quantità e varietà di stimoli percettivi per l’occhio), ma anche quella concettuale (ossia il numero di differenti significati attribuibili a uno stimolo).
Si potrebbe quindi avere il paradosso che un logo più ricco di elementi e dettagli ma povera di significati risulti più facile da comprendere di uno graficamente più semplice e saliente, ma semanticamente più ricco.
Priming e immagini
Il priming è il fenomeno per cui uno stimolo percettivo innesca determinate reazioni emotive o cognitive o influenza la percezione dello stimolo successivo. Un esempio banale è il panno rosso (stimolo) che il torero agita di fronte al toro per aizzarlo (reazione emotiva di rabbia).
Anche le fotografie possono essere utilizzate nel marketing per condizionare la percezione di un brand o stimolare particolari emozioni nel consumatore che lo favoriscono all’acquisto.
Ad esempio, è dimostrato che la grafica curata e l’utilizzo di immagini ben fatte e professionali trasmette immediatamente un senso di fiducia che ben dispone il cliente, mentre pagine o siti web poco curati hanno esattamente l’effetto opposto.
La grafica del mulino bianco risveglia in noi il concetto di famiglia e di affetti, mentre il pugno di ferro che si abbatte sul tavolo in una vecchia reclame dell’amaro Petrus richiama immediatamente l’idea di forza, vigore e benessere.
Attenzione però, a volte proprio le associazioni che i consumatori fanno possono giocare brutti scherzi. Vittime eccellenti del priming emozionale legato alle immagini sono stati gli Stilisti Dolce e Gabbana con la loro campagna in Cina del novembre 2018.
Il video incriminato mostrava una ragazza cinese mangiare gli spaghetti con le bacchette. La reazione del pubblico è stata di risentita offesa: l’idea è stata giudicata troppo scontata, banale, stereotipata e razzista.
Il motivo? La Cina di oggi non è certo quella di ieri. Il comunismo ha cambiato la percezione che i cinesi hanno di loro stessi, e ben radicato l’idea che la Cina di prima della rivoluzione è un male oscuro di cui finalmente ci si è liberati. Per cui, attenzione alle associazioni che fanno le persone (e alla necessità di testare sempre le proprie idee creative).
Qualche esperimento di neuromarketing con le immagini
Vi siete mai chiesti perché nelle locandine pubblicitarie le immagini vengono poste a sinistra e i testi a destra? La ragione risiede in una peculiarità del nostro cervello, che processa le immagini col lato sinistro della corteccia visiva.
Gli esperimenti condotti su pazienti a cui erano state recise le connessioni del corpo calloso (una serie di fasci di neuroni che assicurano la comunicazione tra i due emisferi) provano chiaramente la specializzazione emisferica.
Se si presenta l’immagine di un gatto nel campo visivo destro, il paziente risponde correttamente, perché l’elaborazione avviene col cervello sinistro. Se l’immagine viene invece posta a destra, il paziente non vede nulla, perché i due emisferi non possono più dialogare.
Per chi si occupa di pubblicità, un altro esperimento di neuromarketing particolarmente interessante è quello dei ricercatori Robert Mai, Claudia Symmank e Berenike Seebergn, che hanno indagato gli effetti dell’utilizzo di una luce chiara e pallida sui prodotti di cibo per salutisti.
Il risultato è stato che il messaggio trasmesso risultava ambiguo. Da una parte, gli aspetti salutisti del prodotto venivano esaltati; dall’altra, però, i consumatori associavano un gusto meno intenso al prodotto stesso, considerandolo in conclusione sano ma poco gustoso.
Altre ricerche condotte con l’eye-tracker da Jakob Nielsen hanno dimostrato che le immagini grandi sono più attraenti di quelle piccole e che le modelle e i modelli attirano nonostante tutto meno di persone naturali. Per questo motivo sarebbe bene evitare le immagini stock.
Sempre gli studi di Nielsen provano l’utilità delle foto dei dettagli dei prodotti e degli autori degli articoli, mentre risulterebbero superflue quelle che non veicolano particolare valore o significato rispetto ai contenuti.
Neuromarketing: altri esempi pratici di applicazioni con le immagini
Gli esempi di applicazione del neuromarketing alle immagini sono numerosi e vanno oltre alla pubblicità classica; ricordiamo il packaging e il design dei prodotti (al cui proposito si parla talvolta di neurodesign).
Neuromarketing e packaging
Le immagini vengono utilizzate nel packaging sia per fornire informazioni sul prodotto che per attrarre e coinvolgere il potenziale consumatore.
Non sempre però le immagini vengono confezionate o collocate sul pacchetto nel modo che sarebbe necessario per ottenere l’effetto sperato.
Testando le confezioni con le metodologie di neuromarketing (si parla in questo caso di neuropackaging ), si riesce a verificarne l’effetto che realmente hanno sui consumatori e se le immagini utilizzate risultano in asse con gli scopi e le aspettative della divisione marketing.
Altri aspetti del packaging che il neuromarketing può migliorare sono quelli legati al colore e alla forma: anche se a prima vista non sembra, questi influenzano in maniera sensibile la percezione non solo del prodotto, ma anche delle sensazioni gustative ad esso associate.
Recenti esperimenti hanno anche dimostrato l’importanza della trama: ad esempio, una superficie increspata diffonde l’attenzione dal centro dell’immagine al resto della confezione, mentre il colore dei piatti al ristorante influenza la percezione del sapore dei cibi.
Neurodesign e neuroestetica
Il linguaggio figurativo trascende la fotografia per abbracciare anche l’arte, l’architettura e il design (neurodesign). Le ricerche neuroscientifiche possono quindi indagare l’esperienza visiva di chi abita un’immobile, usufruisce di una scuola o altro edificio pubblico.
Un altro ambito di ricerca è la neuroestetica, ossia la comprensione dei meccanismi biologici e neuronali che stanno dietro al senso del bello. Queste ricerche possono del resto essere sfruttate anche per gli aspetti commerciali, in quanto la bellezza di una foto o di un oggetto è anche un potente veicolo di persuasione.
I punti da ricordare
Riassumendo questo lungo articolo, l’applicazione delle metodologie di neuromarketing alle immagini con finalità commerciali può rivelarsi particolarmente utile per fotografi, designer, creativi e uomini di marketing, in quanto permette di progettare e testare contenuti visivi che raggiungano le tre finalità di base di qualsiasi campagna di comunicazione:
- Attrarre i potenziali clienti;
- Essere immediatamente comprensibili;
- Essere memorabili.
Ricordatevi però che le regole che desumiamo dalle neuroscienze sono solamente indicazioni. In ogni caso, bisogna testarle caso per caso nel contesto specifico in cui si applicano.
Dopotutto, la storia offre esempi di grandi affiche pubblicitari realizzati in bianco e nero, e di colossali fallimenti commerciali nonostante le reclame a colori vividi e l’applicazione delle regole che abbiamo visto.
In conclusione:
Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano (Paulo Cohelo).
Trovi approfondimenti e altri esempi di applicazione delle neuroscienze all’immagine e al design nel mio libro: “Neurocopywriting“.
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Per approfondire:
Psicologia della percezione visiva, su Le Scienze, 2017
Introduzione al neurodesign, su questo blog
Introduzione al neuropackaging, su questo blog