Neuroestetica: capire l’arte tramite le neuroscienze

C’è chi la chiama neuroestetica, chi neuroarte, ma sembra che non ci sia una grande differenza di significato tra queste due parole arrivate da poco ad arricchire la lista delle neuro-discipline.  Entrambe si riferrerebbero all’applicazione delle neuroscienze all’arte per comprendere come si genera l’esperienza del godimento estetico nel cervello del pubblico.

L’origine del termine risalirebbe ai primi anni 2000, quando venne fondato l’istituto di neuroestetica della University College di Londra dal neurobiologo Semir Zeki, considerato il fondatore di questa disciplina.

In Italia, però, di ricerche neuroscientifiche per comprendere l’esperienza estetica si era già parlato negli anni ’90 grazie a Lamberto Maffei, ex direttore dell’istituto di neuroscienze del CNR e attualmente vicepresidente della prestigiosa Accademia dei Lincei, e Adriana Fiorentini, fisica e fisiologa.

Di neuroestetica si è occupato anche il professore Fabio Babiloni e il suo gruppo di ricercatori presso l’università La Sapienza di Roma, e il Behavior and Brain Lab dello IULM di Milano (diretto dal professor Vincenzo Russo), che ha anche curato una iniziativa di formazione presso l’Expo 2020 di Dubai.

Gusto individuale, meccanismi universali

Tuttavia, è in questi ultimi anni che la neuroestetica ha cominciato a fiorire, con studi e ricerche che si susseguono a ritmo sempre più serrato. I risultati emersi possono essere riassunti in due tendenze apparentemente contradditorie.

Da un lato, è chiaro che le preferenze estetiche sono individuali e soggette a cambiamenti non solo culturali e storici, ma anche collegati allo sviluppo personale e perfino ad effetti di contrasto percettivo a breve termine.

D’altra parte, ci sono prove crescenti che i meccanismi cerebrali che mediano la percezione estetica sono condivisi da tutti gli esseri umani, cioè sono universali e stabili.

Ad esempio, i correlati neurali della percezione estetica coinvolgono regioni cerebrali simili nel cervello umano per un’ampia varietà di stimoli, che vanno dalle opere d’arte e dalla musica alle formule matematiche.

Dal punto di vista dello stimolo, le immagini artistiche hanno una serie di caratteristiche comuni – vale a dire regolarità statistiche rilevanti per la codifica della visione umana. Un esempio è il livello di complessità di uno stimolo visivo, che non deve essere né troppo semplice né eccessivamente elaborato.

Tra le due tendenze, secondo la prestigiosa rivista Frontiers in Human Neurosciences, le preferenze individuali prevarrebbero su quelle condivise, con una robustezza dei dati molto forte perfino nei casi di demenza. Insomma, varrebbe pur sempre il detto che è bello ciò che piace.

Le basi neurologiche della percezione estetica

Tornando ai meccanismi universali, dove viene generata la percezione estetica? Alcuni studi (Koyo Nakamura e Hideaki Kawabata, 2015) suggerirebbero un ruolo per la corteccia mediana prefrontale e la corteccia motoria sinistra.

Altri studi hanno sottolineato l’attivazione dell’area dell’insula e della parte destra dell’Amigdala, una minuscola struttura che riveste un ruolo importante nelle emozioni, e della corteccia orbitofrontale e dell’ippocampo.

Il numero elevato di strutture cerebrali coinvolte non deve stupire. La complessità di una esperienza come quella estetica non può certo essere ricondotta a una zona specifica, ma piuttosto appare il frutto della collaborazione di diverse strutture neuronali.

Studi recenti sull’attività cerebrale dei rapper confermano l’assunto. Troviamo infatti l’attivazione di numerose aree cerebrali, collegate non solo alle emozioni, ma anche ad aspetti culturali, cognitivi e linguistici, come a ricordarci l’impossibilità di scindere in maniera meccanicista e determinista il comportamento umano.

Neuroestetica del video e del linguaggio visivo

Altro aspetto interessante che sta emergendo da alcune ricerche è la scoperta dell’importanza delle immagini in movimento, ossia dei contenuti video, probabilmente perché legati al cambiamento e al movimento, ossia alla sorpresa e alla novità, un fattore di successo molto ben conosciuto e sfruttato dagli scrittori e dai registi.

Questo confermerebbe quanto si scrive da tempo sui post e forum di digital marketing sul successo delle storie e dei video, e le scelte di piattaforme come Facebook e Instagram di valorizzarle in modo particolare per creare coinvolgimento per gli utenti.

A livello neuronale, il neuroscienziato Vittorio Gallese sottolinea come un ingrediente importante della fruizione di un’opera figurativa è la possibilità di creare a livello mentale il movimento dell’artista che l’ha eseguita. Non solo concetti di movimento e di azione, dunque, ma anche di empatia.

Video e immagini in movimento richiamano un’altra parola chiave per capire la neuroestetica, ossia l’idea di contrasto: sarebbe proprio l’alternanza tra momenti emozionali positivi e negativi a dare il sale alle nostre trame narrative, almeno secondo gli studi dello psicologo Steven Brown.

Il contrasto è del resto un ingrediente di base non solo di una novella o un buon film, ma anche del linguaggio visivo: sembrerebbe infatti esistere una preferenza del cervello per immagini salienti e ben definite.

D’altro canto, contrasto e variazione sono intrinsecamente collegati, e proprio la capacità di creare variazioni su una struttura data è un ingrediente importante dei giochi di parole, della poesia e della musica. L’organo coinvolto è l’ippocampo, che ha tra l’altro il compito di individuare i cambiamenti in una sequenza familiare.

Quando rileva un errore, l’ippocampo si attiva immediatamente, richiamando la nostra attenzione e svegliandoci. Questo meccanismo è alla base degli hippocampus headlines, particolari titoli che sfruttano proprio questo tipo di gioco di parole per coinvolgere i lettori.

I fattori culturali nella neuroestetica

Tuttavia, nonostante l’indubbia esistenza di meccanismi universali, l’aspetto culturale e personale, come abbiamo anticipato nei paragrafi precedenti, impatta in maniera determinante nell’esperienza estetica e nella formazione del gusto.

Uno studio condotto su un gruppo di lettori della divina commedia nel 2012 presso l’università La Sapienza di Roma ha evidenziato che mentre i lettori esperti – ossia con una preparazione di studi specifici – tendevano ad avere un approccio cognitivo alla lettura, quelli meno esperti si abbandonavano maggiormente alle emozioni.

Questa conclusione parrebbe generalizzabile ad altre forme d’arte, e potrebbe spiegare la differenza tra un critico e un semplice fruitore.

Anche i colori vengono interpretati – almeno in parte – secondo schemi culturali. Ormai è noto a qualsiasi design del diverso valore simbolico che ha il bianco in Cina (colore del lutto) e in Europa (colore della purezza). Sempre in Cina, il colore rosso non rappresenta il fuoco e la passione, ma la gioia.

Altri studi hanno evidenziato come i grandi maestri del passato conoscessero i percorsi visivi che compiono i visitatori sulle loro opere e fossero in grado di dirigerli nel modo opportuno, portando con abilità la loro attenzione su specifici punti dell’opera.

Venendo alle preferenze individuali, è ormai noto in psicologia il meccanismo del priming: associamo le nostre idee, esperienze e ricordi ad altre idee ed emozioni, creando vere e proprie reti di immagini e significati.

Abbiamo cioè bisogno di personalizzare l’esperienza che facciamo del mondo e ricondurla al nostro vissuto, altrimenti resterebbe fredda e astratta, troppo lontana dalle nostre emozioni. Qualcosa del genere avviene anche con le opere d’arte, e ciò contribuisce a spiegarne il potere evocatore.

Cosa ci può dare la neuroestetica?

Come il lettore può notare da questa rapida e sicuramente non completa carrellata di studi e ricerche, la neuroestetica è una scienza piuttosto giovane ed è ben lontana da risultati definitivi.

Tuttavia, già oggi il suo contributo non è da trascurare. Oltre a confermare molte regole empiriche conosciute da tempo dai pratici e dai critici, la neuroestetica e le neuroscienze possono infatti anche fornire strumenti utili non solo agli artisti, ma anche a chi crea contenuti.

Con la neuroestetica, se mai vi capiterà di progettare una landing page per i cinesi eviterete così i colori che in quella cultura sono associati alla sfortuna (pare che in Cina siano parecchio superstiziosi), mentre imparerete a inserire contrasti e variazioni interessanti nei testi e nei video per renderli vivaci e vitali come le opere di un vero artista.

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Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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