La menzogna, le narrazioni e i possibili antidoti

Negli ultimi anni abbiamo assistito all’esplosione del fenomeno delle Fake News, il che ripropone nuovamente all’attenzione del pubblico il legame da sempre esistito tra menzogna e narrazione.

Anche se gli algoritmi hanno in ciò una grossa responsabilità, non spiegano però tutto. Forse, il vero fattore chiave va cercato nella natura stessa della nostra mente e quindi delle storie e dello storytelling.

L’interprete

Come essere umani, abbiamo un bisogno fisico di interpretare il mondo su nessi di casualità del tipo prima e dopo, ossia con degli schemi narrativi; odiamo così tanto l’assenza di una storia al punto che se manca arriviamo a crearla.

Il neuroscienziato Michael Cazzaniga ha ipotizzato l’esistenza di una apposita struttura cerebrale preposta a elaborare continuamente spiegazioni narrative della realtà localizzata nell’emisfero sinistro, che ha definito non a caso interprete.

Questa struttura riconduce ogni secondo la nostra esperienza del mondo a schemi di causa effetto ed è alla base della nostra capacità di costruire narrazioni.

Purtroppo, osserva Cazzaniga, l’interprete non è affatto oggettivo ed è tutt’altro che scientifico, tende cioè a inventarsi la realtà di sana pianta. Riprendendo un antico insegnamento buddista, la mente è come un abile pittore che crea la realtà, con tutti i rischi in termine di manipolazioni, inganni e menzogna immaginabili.

Effetto Hedier Simmel

Nel 1944 gli psicologi Fritz Heider e Marianne Simmel idearono un esperimento in cui venivano mostrati a un campione di persone un cartone animato che rappresentava due triangoli e un cerchio in movimento dentro e attorno ad un rettangolo aperto. I movimenti dei tre oggetti venivano nella maggioranza dei casi interpretati come quelli di due innamorati inseguiti da un terzo soggetto poi respinto, anche se di per sé non avevano un particolare significato (effetto Heider Simmel).

Venne così data una dimostrazione sperimentale non solo della nostra tendenza irrefrenabile a cantarcela e suonarcela, ma anche di come abbiamo veramente scarso controllo sulle storie che ci raccontiamo ogni momento per dare un senso alla realtà: tendiamo istintivamente ad attribuire intenzioni a fenomeni che ne sono privi e a vedere cause che non ci sono, esponendoci volenti o nolenti a ogni tipo di inganno.

L’estetica del nemico

C’è da aggiungere che l’adozione massiccia dello schema narrativo dell’ostacolo da affrontare o del nemico da vincere genera automaticamente una contrapposizione falsa e artificiosa di un “noi” contro un “loro”. Umberto Eco la definì l’estetica del nemico, il filosofo Alex Rosemberg ne vide la ragione per cui la storiografia è sbagliata alla radice.

Anche per lo psicologo Paul Bloom le storie rafforzano le divisioni invece che risolverle; i nemici vengono presentati come appiattiti, immutabili, ottusi proprio per ridurne il grado di empatia e di umanità. Purtroppo, la gente è attirata dai problemi, finché c’è nemico c’è speranza, e soprattutto possibilità di manipolazione e controllo.

L’effetto rashomon e la memoria

Le narrazioni devono per forza ricorrere, oltre alla creatività e alla fantasia, alla memoria. E si sa che la memoria gioca spesso brutti scherzi. Il neuroscienziato Damasio sostiene che noi non memorizziamo i ricordi, ma li ricreiamo al momento secondo il contesto e la situazione in cui ci troviamo.

Questo già basterebbe a metterci sull’avviso: i ricordi sono delle narrazioni distorte.

L’effetto rashomon descrive il fenomeno per cui ogni testimone fornisce una sua versione perfettamente plausibile ma in contrasto con quella degli altri testimoni dei fatti. Ci ricorda l’importanza di suffragare le narrazioni con dati di fatto e con verifiche, e di come la memoria e il ricordo sia fallace.

Attenzione alla matematica

Daniel Kahneman, padre della neuroconomia, nel suo libro Pensieri lenti e pensieri veloci, osserva come molte persone credono alle storie di successo di chi si mette in proprio, anche se nella realtà riescono nell’impresa un numero esiguo di aspiranti imprenditori.

Il motivo di questo errore starebbe nella difficoltà del cervello di ragionare in termini matematici e di gestire quindi la probabilità e i rischi in modo corretto. Non siamo scientifici, fare i conti è faticoso, mentre le narrazioni sono più facili e intuitive da capire, ma purtroppo anche più ingannevoli.

Il ruolo dell’immedesimazione narrativa

Ogni storia fatta come si deve crea nel pubblico i fenomeni del trasporto narrativo (la sensazione di essere così dentro la storia come se fosse un’esperienza reale) e dell’immedesimazione con un personaggio, di cui sposiamo incondizionatamente le tesi, le posizioni e le battaglie.

L’effetto finale è abbassare drasticamente le nostre difese e barriere critiche. Un abile narratore potrà quindi farci credere in maniera subdola qualsiasi menzogna venga infilata nella narrazione o sposare anche la più sbagliata delle cause.

Le narrazioni delle organizzazioni terroristiche ne sono un chiaro esempio.

Le storie sono riduzioniste

Un altro aspetto spesso trascurato ma ben documentato dalla psicologia cognitiva è che tendiamo a fidarci inconsciamente di qualsiasi narratore, un fenomeno che ci espone a ogni abuso e che è sato perfino oggetto recentemente di verifica sperimentale.

Tuttavia, non c’è narratore che non debba per forza selezionare, scegliere e decidere come ordinare i fatti che desidera raccontare. Insomma, le storie sono intrinsecamente riduzioniste, devono necessariamente semplificare il mondo per dargli un senso selezionando tra una serie di fatti ed eventi quelli che a giudizio del narratore sono i più significativi e rilevanti. Secondo il narratologo Will Storr è la loro stessa natura, dunque, che crea il problema.

Possibili antidoti

Empatia

L’empatia, spesso invocata come rimedio all’odio e all’intolleranza, purtroppo non è un antidoto molto potente: innanzitutto si tratta di un arma a doppio taglio, può spingere alla pace e alla tolleranza, ma anche diffondere emozioni negative. Inoltre, stando ai risultati delle ricerche (Michela Balconi, Neuroscienza delle emozioni, 2020), è più facile empatizzare coi membri del proprio gruppo e con i più vulnerabili, il che rafforza le divisioni contro chi non appartiene alla nostra tribù.

Fatti oggettivi

Altro antidoto spesso proposto contro il potere manipolatorio delle narrazioni sono elencare i fatti oggettivi, ma anche in questo caso le speranze sono poche. In una ricerca del 2017 è stato dimostrato che le Fake News resistono addirittura di fronte alla verità; anzi, paradossalmente potrebbero perfino rafforzare le nostre idee erronee (Backfire Effect), per la tendenza del cervello a non cambiare le sue abitudini. Stesse conclusioni per l’esposizione ad opinioni diverse.

Razionalità

Anche la razionalità, secondo i cognitivisti Hugo Mercier e Dan Sperber, non può funzionare essendo anch’essa un arma nel conflitto sociale. Non siamo esseri razionali ma razionalizzatori, siamo cioè maestri nella creazione di narrazioni pseudorazionali e senza nessun reale fondamento per convincere noi stessi e gli altri che il nostro atteggiamento è sensato e fondare in questo modo le nostre ragioni partigiane.

L’importanza del pensiero critico

Una strategia più convincente è essere consapevoli del legame profondo tra narrazioni e menzogna e del pericolo intrinseco che ogni storia porta con sé. Sviluppare un sano atteggiamento di diffidenza, essere consapevoli delle principali trappole cognitive in cui cadiamo e che i narratori sfruttano, verificare le fonti e non prendere per oro colato ciò che ci viene detto restano forse le migliori difese.

In conclusione, ciò si riassume nel coltivare, sviluppare e costruire un sano senso critico. Ricordiamoci le parole di Karl Popper: “La società chiusa è caratterizzata dalla fede nei tabù magici, mentre la società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza (dopo discussione).” (K.Popper, La società aperta e i suoi nemici).

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Immagine di freepik

Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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