Le mappe semantiche – una rappresentazione mediante un grafo a nodi dei collegamenti semantici di una parola con altre parole – sono oggi uno strumento comune nelle scuole e nelle aziende.
Meno conosciuto il fatto che il cervello umano utilizza un metodo simile per memorizzare, immagazzinare e organizzare il lessico.
Tra gli studi al riguardo, merita sicuramente attenzione per la sua importanza lo studio della università di Berkeley del 2016 di Jack Gallant e Alexander Huth, di cui vi parlerò in questo post.
Codifica e decodifica dell’attività cerebrale
Per trovare le mappe semantiche cerebrali, Gallant e Huth hanno dovuto prima sviluppare un sistema di decodifica dell’attività del cervello. Detto in parole semplici, si tratta di una metodologia per associare una parola a una specifica attività neuronale.
Per riuscirci, i ricercatori di Berkeley hanno sottoposto a fMRI (risonanza magnetica) una serie di volontari mentre venivano mostrate delle immagini. Per ogni immagine, veniva registrata l’attività cerebrale.
Sulla base dell’attività cerebrale registrata, si tentava poi una decodifica, cercando di dedurre quale fosse il nome dell’immagine che era stata mostrata.
I risultati sono stati sorprendenti. I ricercatori sono riusciti ad azzeccare l’immagine corretta tra il 71% e oltre il 90% dei casi, a fronte di una percentuale attesa di successo in caso di scelta dell’immagine fatta a caso di solo l’8%.
Indagare la rappresentazione semantica nel cervello
Creata la metodologia di indagine sperimentale, Gallant e Huth sono passati a studiare come avviene la rappresentazione semantica nel cervello, ossia come sono organizzate le mappe semantiche cerebrali.
Durante lo studio sono stati somministrati a un campione di studenti delle storie in formato audio precedentemente trascritte e campionate semanticamente secondo particolari metodologie.
L’attività cerebrale dei partecipanti veniva monitorata mediante risonanza magnetica per cogliere quali aree si attivavano per ogni singola parola.
In questo modo è stato costruito un modello di codifica che associa specifiche aree a determinate parole.
Per testare il modello, si è proceduto a far ascoltare nuove storie e ad associare le parole all’attività cerebrale rilevata.
Le mappe semantiche cerebrali
Quale è stato il risultato di questo sforzo? Decodificando l’attività cerebrale, i ricercatori di Berkeley hanno ottenuto delle mappe semantiche che mostrano le aree associate a determinate parole e le dimensioni delle parole stesse, ossia se appartengono, ad esempio, a categorie percettive (tatto, etc) o umane (sociale, aggressiva, etc.).
Un primo aspetto interessante di questa ricerca è stato scoprire che il lessico viene immagazzinato in entrambi gli emisferi e in modo diffuso, contrariamente a quanto ci si aspettava, ossia una preponderanza dell’emisfero sinistro.
Ma la prospettiva che forse più affascina (o terrorizza) è che questa metodologia potrebbe aprire la strada all’attribuzione di specifici significati all’attività cerebrale, ossia alla lettura del pensiero, con implicazioni etiche di notevole portata.
Le mappe semantiche – cerebrali o meno – non smettono di stupirci.
Per approfondire:
L’articolo di Huth, Gallant e gli altri ricercatori che hanno partecipato alla ricerca: “Natural speech reveals the semantic maps that tile human cerebral cortex” è stato pubblicato sulla rivista Nature nel 2016.
Gli studi dell’università di Berkeley sono descritti in dettaglio in: Gazzaniga, Ivry, Mangun, Neuroscienze Cognitive, Zanichelli, Bologna, 2021
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