La neuroarchitettura nasce circa 25 anni fa quando il neuroscienziato Fred Gage scopre che il cervello e i nostri comportamenti sono influenzati a livello biochimico dall’ambiente in cui ci troviamo.
Comincia così ad applicare le neuroscienze all’architettura per progettare edifici maggiormente in grado di favorire il benessere delle persone che ci vivono.
Per comprendere le potenzialità della nuova disciplina, basta considerare che spendiamo ormai quasi il 90% del tempo all’interno di luoghi chiusi, e che aspetti come la luminosità, lo spazio, l’altezza dei soffitti influenzano parametri chiave come la concentrazione, lo stress e la creatività.
I principi di base della neuroarchitettura
Il cervello invia continuamente messaggi relativi all’ambiente tramite le sensazioni. Quando entriamo in una sala pulita e luminosa proviamo benessere, mentre camminando tra le celle buie e strette di un sotterraneo angoscia e paura.
A livello neuronale, si sono rivelate particolarmente importanti alcune aree dell’ippocampo che contengono delle cellule specializzate nel riconoscimento delle forme geometriche e all’organizzazione dello spazio che ci circonda.
Ogni volta che entriamo in una stanza, in una casa, o in un qualsiasi altro tipo di ambiente, queste cellule elaborano le informazioni di ordine spaziale creando delle mappe cognitive che saranno alla base delle emozioni/sensazioni che proviamo e delle decisioni che assumeremo.
Il compito dell’architetto sarà quindi quello di pianificare in fase di progettazione le emozioni e le mappe cognitive che gli edifici e gli ambienti suscitano in chi li vive, ottimizzandole.
Gli strumenti e le metodologie
Le neuroscienze mettono a disposizione molteplici strumenti e test per scoprire che emozioni prova un soggetto:
- l’elettroencefalogramma consente di rilevare il tipo di emozioni e se il soggettò è in stato di benessere o di stress;
- il tracciamento oculare ci dirà quali elementi attirano la sua attenzione a livello cognitivo, ad esempio se un cartello o una indicazione è posizionata in modo visibile;
- la risposta galvanica della pelle rivelerà stati mentali come stress, stanchezza o coinvolgimento.
Con questo tipo di metodologie diventa quindi possibile testare le reazioni cognitive ed emozionali di qualsiasi soggetto a un edificio, un luogo o un manufatto in maniera particolarmente approfondita ed esaustiva.
Nel caso di studio con strumentazione neuroscientifica della funzionalità di oggetti o interfacce, si parlerà di neurodesign.
Le prime applicazioni delle neuroscienze all’architettura
Forse non è un caso che i primi esempi di neuroarchitettura si sono avuti con la progettazione degli ospedali. Roger Ulrich, professore di architettura all’università Chalmers in Svezia, ha dedicato la sua carriera a migliorare il design delle strutture sanitarie.
Una delle sue scoperte più celebri è quella che i pazienti che godono di una stanza con finestra e vista su un parco o un ampio paesaggio naturale guariscono prima.
Questo principio può essere generalizzato: ambienti immersi nel verde o con ampio accesso a scenari naturali tramite finestre e vetrate aumentano immediatamente il benessere di chi ci vive. Un esempio di questo tipo di architettura è la celebre Thorngrown Chapel a Eureka Spring in Arkansas.
Verso un codice visivo degli spazi
Grazie alla neuroarchitettura, oggi gli architetti hanno a disposizione un vero e proprio codice degli spazi visivi.
Sappiamo, ad esempio, che gli ambienti bui generano stress perché non distinguiamo bene forme e bordi, come anche i rumori, l’affollamento, la mancanza di punti di riferimento, gli angoli marcati e appuntiti e la luce molto intensa.
Lo psicologo e designer Colin Elard sostiene che siamo attratti dalle facciate simmetriche con texture interessanti e innovative per un bisogno profondo che abbiamo di novità, mentre la nostra tendenza a cercare un rifugio spinge gli interior designer a creare nelle case angoli dove stare in intimità (la zona poltrona).
Il neuroscienziato Oshin Vartanian ha studiato e dimostrato l’attrazione che esercitano su di noi le curve. Inoltre, ha scoperto che si è attratti dall’open space per socializzare e dagli spazi chiusi per concentrarsi o risolvere un problema. Questo spiega il bisogno istintivo di chiudersi in una stanza quando bisogna fare una riunione.
Conosciuto da tempo è invece il ruolo dei colori: il verde riduce lo stress e la frequenza cardiaca, mentre il rosso aumenta la concentrazione e l’attenzione. Sul piano cognitivo, i colori freddi sembrano recedere e aumentano il senso di spazio, quelli caldi invece avvicinano e restringono lo spazio.
Progettare gli spazi creativi
Secondo l’architetto Donald M. Rattner, autore del libro: “My Creative Space” e pioniere dell’applicazione della psicologia all’architettura, la spazialità è in relazione con l’apertura mentale. L’osservazione di forme o oggetti lontani stimola l’astrazione, mente le cose vicine il pensiero concreto.
Come espandere lo spazio fisico per aumentare gli stimoli creativi con l’aiuto della neuroarchitettura? Rattner suggerisce le seguenti strategie progettuali:
- Sfruttare finestre, vetrate e viste in modo da fonderlo con l’ambiente circostante;
- orientare i mobili in modo che il tavolo e la postazione guardi verso una finestra;
- i soffitti alti aumentano il senso di spazio e di creatività. Si possono usare trucchi visivi per far sembrare più alto un soffitto, ad esempio una tappezzeria a strisce verticali o forme dei mobili allungate e slanciate;
- poster e quadri di paesaggi aperti aumentano la sensazione di spazialità.
La luce svolge un ruolo nell’influenzare il ciclo circadiano e va particolarmente curata, in quanto la creatività richiede il top delle energie e della forma. Per armonizzare questo ciclo, innanzitutto gli interni devono essere ben illuminati, per cui:
- evitare tende e drappeggi pesanti
- usare porte in vetro
- attenzione alle luci blu, ad esempio del pc, in quanto disturbano il ciclo circadiano
- usare lampade led intelligenti che si autoregolano in base alla luce solare
- non esagerare con l’intensità perchè sembra che troppa luce inibisce la creatività
Neuroarchitettura applicata alla scuola e all’università
Gli edifici destinati alla formazione (scuola, università) sono un altro settore particolarmente oggetto di indagine da parte della neuroarchitettura. Secondo le ricerche di Barrett, Davies, Zhang e Barriett (2015) e Lisa Heschong (2002), l’esposizione alla luce migliorerebbe le prestazioni degli studenti in maniera sensibile, con indici che arrivano a ben il 25%.
Altri studi confermano il luogo comune che il freddo e il cattivo tempo stimola l’apprendimento. Dai test condotti da Wargocky e Wyon (2007) su un campione di bambini di 10-12 anno, la velocità di esecuzione di test linguistici e matematici migliorerebbe con una temperatura leggermente abbassata e la ventilazione aumentata.
La neuroarchitettura conferma anche l’importanza del colore delle aule: le ricerche di Küller, Mikellides e Janssens (2009) hanno dimostrato che i colori causano effetti emozionali e fisiologici importanti in grado di influire sulle prestazioni degli studenti.
Da non trascurare i fattori come la complessità dell’organizzazione dello spazio e la personalizzazione: la presenza di un filo conduttore tra tutti gli elementi che compongono un interno aumenta il senso di maturità, la sicurezza e la tendenza degli studenti a esprimersi, e se gli spazi sono intimi e sviluppati intorno alla personalità di gruppo della classe migliorano anche la memoria e senso di responsabilità verso l’ambiente scolastico.
Tra gli esperimenti in questo campo, ricordiamo lo studio della psicologa Sapna Cheryan che ha testato come la struttura fisica dei laboratori di informatica influenzasse la preferenza degli studenti di intraprendere questo tipo di lavoro.
Si è dimostrato che gli studenti posti in laboratori arredati in stile neutro reagissero più positivamente alla prospettiva di studiare informatica di quelli posti in stanze arredate in stile nerd.
Secondo la Cheryan, i risultati delle sue ricerche rilanciano l’importanza dell’applicazione delle neuroscienze all’architettura e al design:
“Quando si pensa a cambiare la cultura di un campo, ci focalizziamo sul cambiare le persone. Ma è molto difficile cambiare le persone. Il cambio di design, invece, rappresenta un intervento più facile e meno costoso”.
La promessa della neuroarchitettura sembra quindi andare verso una riscoperta non solo della dimensione funzionale, ma anche emozionale degli edifici e dei luoghi di vita, assecondando il pensiero dell’architetto Eliel Saarinen:
“Lo scopo dell’architettura è di proteggere e migliorare la vita dell’uomo sulla terra, per appagare il suo credo nella nobiltà della sua esistenza.”
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