Avendo incontrato negli anni diverse persone che praticano yoga, meditazione o recitazioni interminabili di mantra, mi sono sempre chiesto se esistessero degli studi scientifici sulla reale efficacia di queste pratiche.
La risposta è affermativa. Il numero di ricerche neuroscientifiche su mantra, preghiere e meditazione è andato via via aumentando nel corso degli ultimi decenni, dimostrandone precisi effetti neurologici e terapeutici.
I pionieri sono stati i lama tibetani, che hanno accettato di sottoporre a risonanza magnetica funzionale il cervello di alcuni monaci nei primi anni 2000 in una serie di test condotti presso il laboratorio di neuroimaging funzionale del Wisconsin.
La storia di questi esperimenti è raccontata da David Goleman nel libro scritto a quattro mani col Dalai Lama: “Emozioni distruttive”, del 2003. Dopo queste prime esperienze, gli studi e le ricerche su quelle che popolarmente vengono indicate come le “pratiche orientali” si sono infittite. Si è via via dimostrata l’efficacia della meditazione Vipassana, per arrivare infine a verificare anche il potere del Daimoku, il popolare mantra diffuso dalla associazione Soga Gakkai, grazie alle ricerche e ai test svolte in Germania da Susanne Kiliani e Yukio Matsudo (raccontati nel libro: “Cambia le tue onde cerebrali – cambia il tuo karma”).
I Mantra influenzano il Default Mode Network
Ma cosa succede nel nostro encefalo quando iniziamo a recitare un mantra? Secondo uno studio condotto con il neuroimaging cerebrale da un gruppo di ricercatori cinesi nel 2019 presso l’università di Honk Kong, si modificherebbe l’attività della corteccia posteriore cingolata, collegata al dolore e al recupero della memoria episodica, e aumenterebbero le onde delta, collegate al sonno profondo.
Questo studio ci rende dunque un’immagine quasi fotografica del potere profondamente rilassante della recitazione dei mantra e del loro possibile utilizzo terapeutico per affrontare/liberare traumi e cattivi ricordi. Altri studi condotti in Svezia da Simon, Pihlsgård, e Berglind (2017)
hanno mostrato l’esistenza di effetti comuni a tutte queste pratiche, tra cui la riduzione – a volte soppressione – dell’attività del Default Mode Network (DMN), un’importante rete cerebrale che si attiva in diverse situazioni, da quando pensiamo agli altri alla elaborazione del passato. Questo aprirebbe, secondo la psichiatra Marlynn Wei, la possibilità di usare mantra e meditazione in terapia.
Tuttavia, i mantra non hanno solamente un potere rilassante e calmante. Studi condotti presso l’università di Trento nel 2011 con la risonanza magnetica funzionale su un gruppo di pandit indiani hanno mostrato che molte aree cerebrali erano in loro molto più sviluppate del campione di controllo.
Sembrerebbe dunque che i mantra rendono più intelligenti e più forti psichicamente, e forse potrebbero anche essere un antidoto a malattie gravi del sistema nervoso come l’Alzheimer.
Le questioni aperte
Una prima domanda da porsi sui mantra è se la lingua del mantra ne influenza gli effetti. C’è però da dire che esiste ormai una discreta mole di studi fatti su mantra di diverse lingue (cinese, sanscrito, giapponese), che mostrano nel complesso effetti analoghi di ogni tipo di mantra e in ogni lingua.
Una seconda domanda è se gli effetti ricollegati ai mantra sono causati da una qualsiasi ripetizione arbitraria di suoni o parole o esattamente dal particolare mantra scelto.
È quindi bene verificare che i test siano condotti con la presenza di un gruppo di controllo a cui sia somministrato non un mantra, ma una semplice sequenza di parole da ripetere. A questo proposito c’è da segnalare che effetti analoghi alla recitazione di un mantra sono stati dimostrati utilizzando la semplice ripetizione di una parola fatta da un gruppo di non credenti e non praticanti, il che dimostrerebbe che esisterebbe un: “Effetto mantra” slegato dal contesto religioso e spirituale di riferimento ed esclusivamente legato a quello che viene definito: “Repetitive Speech”.
Risultati analoghi sono stati ottenuti con uno studio sul mantra OM effettuato da una equipe indiana con metodi avanzati (risonanza magnetica funzionale) e un gruppo di controllo a cui veniva chiesto la ripetizione della sillaba “s”. La disattivazione del DMN era decisamente superiore nel caso della ripetizione della sillaba om.
Questi risultati sembrano dimostrare che esistono effetti specifici collegabili ai singoli mantra, e aprono la strada a degli studi che ne chiariscano gli effetti non solo in relazione al fenomeno della ripetizione di una parola, ma anche ai suoni consonantici e vocalici che costituiscono ogni singolo mantra e alla ritmica della parola, seguendo alcune indicazioni proprie della fonosemantica, la scienza che studia il significato dei morfemi delle lingue.
Suono, ritmo, significato e ripetizione di un mantra sembrerebbero infatti avere effetti differenti su aree cerebrali diverse. A livello neuroscientifico, andrebbero dunque studiati sia separatamente che in combinazione tra loro per avere dei risultati più precisi.
Anche se forse è ancora troppo preso per parlare di una neuroscienza dei mantra, le scoperte e le indagini degli ultimi anni sembrano però concludere per una reale efficacia di queste antiche pratiche.
Sembra esserne accorta anche la Unione Europea, che ha creato un gruppo di studio sugli effetti di mantra e meditazione sulla popolazione anziana.
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Per approfondire:
Pezzetta, R., Crescentini, C., Urgesi, C., & Fabbro, F. (2015). Contributions of neuroscience to the study of meditation and spirituality. Giornale italiano di psicologia, 42(4), 679-710.