Bastano 6 dimensioni per descrivere le differenze culturali tra popoli. Questo, almeno, è quanto sostiene Geert Hofstede, antropologo e psicologo olandese che di diversità culturale se ne doveva intendere veramente, avendo per anni lavorato come ricercatore per lo sviluppo del personale della multinazionale IBM.
Grazie al suo lavoro, Geert ebbe infatti modo di studiare come le differenze culturali legate alle società di origine e appartenenza influenzassero il comportamento e le decisioni di oltre 100.000 dipendenti IBM sparsi per il mondo.
I risultati dei suoi studi sono stati riassunti nel libro: “Culture e organizzazioni. Valori e strategie per operare efficacemente in contesti internazionali” (2014).
Le 6 dimensioni del modello di Geert Hofstede
Quali sono le 6 dimensioni universali che ci permettono di mappare le differenze culturali tra popolo e popolo secondo Geert?
- La distanza percepita tra chi, all’interno di un Paese, detiene il potere, e chi invece ne è soggetto
- L’orientamento dei cittadini all’individualismo o al collettivismo
- Tolleranza o intolleranza dell’incertezza e dell’ambiguità
- L’inclinazione mentale ‘maschile‘ o ‘femminile‘ della società
- Attitudine a guardare al breve termine o al lungo termine
- Tolleranza contro repressione
Per ognuno di questi fattori viene proposta una scala che va da 0 a 100 costruita utilizzando uno strumento matematico desunto dall’analisi fattoriale, una metodologia statistica che studia le possibili correlazioni tra variabili osservabili e non osservate (dette variabili latenti).
In questo modo le 6 dimensioni del modello possono essere raffigurate su grafici e tabelle.
A livello pratico e con riferimento all’indice distanza dal potere, ad esempio, paesi come Israele e i paesi scandinavi hanno una bassa distanza dal potere, ossia i cittadini sono tendenzialmente egualitari e pretendono di essere trattati tutti nello stesso modo.
L’indice invece diventa molto alto per i paesi arabi, africani e asiatici, che infatti sono frequentemente delle dittature.
Una mappa delle differenze culturali
Cosa misurano esattamente in termini di differenze culturali le dimensioni di Geert? Idealmente, i valori condivisi da un gruppo sociale e come essi influenzano il comportamento. Entrando nel dettaglio:
Indice di distanza dal potere (PDI). Indica quanto i membri più in basso nella piramide sociale di una nazione accettano che il potere sia distribuito in modo ineguale.
Individualismo contro collettivismo (IDV). Indica il livello di integrazione in gruppi e strutture sociali: più è elevato, più la società mostra valori collettivisti, più i gruppi sociali sono solidali in caso di minaccia esterna. Se invece l’indice è basso, l’accento cade sull’ego, le persone sono individualiste e tendono a rifuggire dai legami di solidarietà.
La tolleranza dell’ambiguità (UAI). Misura quanto una società è disposta ad accettare l’imprevisto, l’inaspettato o la deviazione / rottura dello status quo. Più è bassa, più la società è rigida e attaccata alle regole; Più è alto, più la società è tollerante e aperta a nuove idee e poco burocratica.
Orientamento maschile o femminile (MAS). Una società maggiormente orientata ai valori maschili premia il successo, l’accumulo di ricchezza, il risultato, l’eroismo e la determinazione. Le società orientate ai valori femminili prediligono invece la modestia, la cooperazione, la cura die più deboli e la solidarietà.
L’orientamento al breve termine o al lungo termine (LTO). Misura la capacità di un popolo di pensare a lungo termine e di adattarsi pragmaticamente alle circostanze, rinunciando se è il caso alla tradizione; se invece si ragione a breve termine, resta l’attaccamento alla tradizione e ai valori tradizionali con poco senso del futuro e del bisogno di cambiare e adattarsi.
Tolleranza contro repressione. Misura quanto una società è disposta a dare in termini di libertà ai propri cittadini per soddisfare desideri individuali e le gratificazioni relative al divertimento e al tempo libero.
Queste dimensioni possono essere correlate a pressocché ogni aspetto della cultura di un popolo ottenendo “insight” molto interessanti anche sulla distanza culturale tra una comunità e un’altra.
Ad esempio, individualismo rima con mobilità sociale e geografica (Stati Uniti), mentre le società con bassa distanza dal potere mostrano maggiore propensione all’innovazione e alla ricerca del prodotto (producono quindi più imprenditori).
E il Mediterraneo e l’Italia? Il nostro modello svela un’alta accettazione della diversità (forse per questo si dice che si vive bene in Italia e Spagna), ma anche da una certa avversione ai cambiamenti che ci rende conservatori e poco inclini all’innovazione. Nelle altre dimensioni siamo una via di mezzo, per cui, alla fine, siamo meno maschilisti di quanto sembriamo e con un individualismo tutto sommato equilibrato.
Il successo del modello di Geert Hofstede
Il modello elaborato da Geert Hofstede ha avuto un grandissimo successo ed è impiegato ancora oggi in moltissimi campi dove è importante gestire le differenze culturali, dalla comunicazione transculturali alla gestione delle multinazionali e alla conduzione di trattative e mediazioni internazionali.
L’utilità del modello è del resto evidente, sia per spiegare la diversità culturale che per gestire le differenze culturali all’interno delle organizzazioni.
Ad esempio, mettere assieme persone con un orientamento di valori maschile e femminile nel senso attribuito da Geert può creare contrasti molto forti quando si tratta di prendere decisioni, in quanto la ricerca del successo e l’individualismo dello stile ‘maschile’ viene fatalmente a scontrarsi con esigenze di solidarietà e prevalenza dell’interesse del gruppo.
Se invece scendiamo sul terreno della comunicazione, aspettiamoci scarso successo della parola “innovazione” in società a orientamento temporale breve (quindi tradizionaliste), che invece potrebbe essere usata con maggior successo in società più adattive e che guardano al lungo termine.
Critiche al modello delle differenze culturali di Geert Hofstede
Il modello sulle differenze culturali di Geert Hofstede ha avuto sicuramente un grosso successo per la sua grande capacità di semplificazione, ma proprio per questo motivo ha anche incontrato pesanti critiche (si veda l’articolo di Brendan McSweeney , Hofstede’s Model of National Cultural Differences and their Consequences: A Triumph of Faith – a Failure of Analysis) e andrebbe quindi usato con una certa cautela.
Un primo rilievo critico è che questo modello sulle differenze culturali non ci dice se le dimensioni sono solo sei o se ne possono aggiungere altre. Mi viene in mente al riguardo l’apertura o meno all’inclusione di gruppi etnici diversi piuttosto che la maggiore vocazione a valori universali e imperiali rispetto al localismo, al nazionalismo e alla chiusura nel proprio territorio.
Altri rilievi sono stati mossi sui metodi e sul campionamento, sul fatto che non sono prese in considerazioni differenze basate sul genere, oltre al fatto che il modello mostra tratti di una visione sessista (il maschile e il femminile) ed eccessivamente eurocentrica (Anne E. Witte, Making the Case for a Post-national Cultural Analysis of Organizations).
Inoltre, il modello non sembra essere così predittivo sulle differenze culturali quanto sembra, soprattutto quando si scende nella pratica. Le società mediterranee saranno si conservatrici, ma forse proprio per questo hanno mostrato, almeno nella loro variante latina, grossa attrazione per tematiche come le riforme, l’innovazione e la rivoluzione (si pensi alla storia degli ultimi due secoli di paesi come la Spagna, La Francia e l’Italia).
Infine, spesso le nazioni sono frantumate internamente in gruppi e sottogruppi che possono variare significativamente per valori e comportamenti sociali, possono cioè essere non omogenee.
E perfino i valori più radicati possono cambiare come risposta adattiva a shock esterni, come accadde all’impero ottomano dopo la pesante sconfitta della Prima guerra mondiale che passò dall’integralismo religioso al laicismo.
Tematiche come la distanza culturale e le differenze culturali sono forse troppo complesse per essere parametrizzate in un modello assoluto.
Resta tuttavia l’interesse per il lavoro di Geert per il suo valore pioneristico e per gli insight che comunque può dare a chi vi si avvicina con il dovuto senso critico, e, ovviamente, senza farne un credo religioso o un talismano.
Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla newsletter per ricevere contenuti simili. Oppure, leggi il mio ultimo libro, Neuroscienze della narrazione.
Per approfondire: La lingua infulenza il modo di pensare?