Ormai, tutti sanno che le leve più potenti che muovono l’essere umano sono le emozioni, in particolare le paure. Non c’è quindi copywriter che prima o poi non ci provi a inserire più leve emotive possibili nelle sue copy.
Il risultato è stato un proliferare di slogan sulla falsariga dell’archetipo: “il brand ti ama” e di un trionfo di spot emozionali degni di una sinfonia di Wagner.
Eppure, non sempre questo tipo di approccio che potremmo definire: “copywriting emozionale” funziona. Il case study che vi sto per raccontare dimostra infatti esattamente il contrario.
Nel caso in questione, si trattava di un corso online di psicologia. Data la materia, sembrò una buona idea partire con un bel testo emozionale che facesse leva sulla paura di molti di non riuscire a gestire le relazioni con gli altri.
L’A/B test fu fatto confrontando la copy emozionale con una dal taglio decisamente razionale, in cui si spiegava punto per punto l’offerta formativa (qualcosa del tipo: 1) formatori professionali 2) più di tot ore di corso e via di seguito).
Il risultato del test fu che la copy razionale convertì decisamente di più della copy emozionale. Le paure avevano fatto cilecca.
Cosa era successo? Semplicemente, i visitatori atterravano sulla landing page già convinti ad acquistare un corso di psicologia. Quello che li interessava sapere non era più trovare la panacea ai loro dolori, ma avere delle informazioni precise in cosa consisteva esattamente il corso per confrontarle con altri corsi simili e poi prendere la loro decisione.
Detto in linguaggio Google-friendly, il secondo tipo di copywriting risultava decisamente più pertinente e rilevante con la tappa specifica del search journey dell’utente.
Questo accade un po’ in tutti i settori, anche in quelli più emotigeni come il turismo.
Una volta che ho deciso di andare alle isole esotiche travolto dalla tempesta di emozioni che mi suscita la vista di foto piene di vegetazione lussureggiante e verdissima su sfondo spiaggia bianca e mare turchese, devo cercarmi un albergo o un pacchetto turistico.
E in quel momento, le emozioni spariscono per lasciar posto a valutazioni estremamente razionali che vanno dall’analisi affannosa per capire se a fronte della fortuna che devo sborsare è almeno compresa la colazione al mattino alla necessità di assicurarmi perché purtroppo i paradisi tropicali in genere non passano l’assistenza medica.
Un caso simile a questo è trattato da Marco Baldocchi nella bottega Assaggi di Piero. Con tanto di encefalogramma, Marco e il suo team hanno dimostrato la scarsa efficacia del classico approccio pubblicitario da “markettaro” e il successo ottenuto con una campagna incentrata su elementi di creatività e rottura.
Morale: attenzione alle formule magiche. Anche se è vero che le paure e le emozioni sono il più potente motore dell’azione, bisogna comunque sempre riflettere sul contesto in cui si trova l’utente e ricordarsi che anche il marketing emozionale può fallire.
Lo stesso vale per il copywriting: una cosa è attirare, un’altra cosa è vendere. Viene sempre il momento in cui il potenziale compratore porrà delle domande molto pratiche e terra-terra, a cui bisogna saper rispondere, soprattutto se si scrive per la rete.
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