Mentre l’inizio di un testo ci convince a proseguirne la lettura, è la conclusione quello che probabilmente ci resterà nella memoria, che si tratti di un articolo, post, tesi o relazione.
In psicologia si parla infatti di: effetto recency; ci ricordiamo l’ultima cosa che abbiamo visto o sentito, dimenticandoci i passaggi intermedi in qualche sperduto magazzino della nostra memoria.
Per questo motivo chi scrive dovrebbe sempre prestare particolare attenzione alle conclusioni del suo discorso.
Ma quali sono le tecniche per scrivere una conclusione efficace? La pratica ne conosce almeno quattro, tutte ben collaudate e tutte basate su meccanismi cognitivi del cervello ormai ben studiati e conosciuti.
Concludere un testo con un gioco di parole
Secondo i due esperti di neuromarketing C. Morin e P. Renvoisé, il gioco di parole è uno degli strumenti più potenti di cui disponiamo per creare non solamente conclusioni efficaci, ma anche titoli e claim potentemente attraenti.
Sembrerebbe infatti che il nostro cervello si ricordi particolarmente gag e battute per via di un meccanismo legato all’ippocampo, un minuscolo organo del sistema limbico coinvolto nei processi di memorizzazione e che imprime in maniera indelebile nella nostra mente tutto ciò che è insolito o che devia da quello che ci aspettiamo.
Il gioco di parole, rompendo l’andamento atteso di una frase o discorso, crea quell’attimo di straniamento sufficiente a stimolare l’ippocampo.
Utilizzare una metafora alla conclusione di un articolo
La metafora viene considerata un altro potente strumento cognitivo che la nostra specie utilizza sin dalla notte dei tempi per espandere le sue conoscenze e comprendere la realtà.
Una metafora che riassuma in un’immagine potente tutto quello che abbiamo detto o sostenuto è forse il più bel regalo che possiamo fare a chi ci ha seguito con tanta pazienza nella lettura del nostro post o articolo.
Le conclusioni basate sull’uso di una metafora hanno anche un altro importante vantaggio: oltre alla estrema facilità di memorizzazione, la metafora crea spesso delle associazioni semantiche più complesse del gioco di parole, che le danno una maggior forza esemplificatrice.
Variare il tono emozionale nelle conclusioni di una relazione
Qualsiasi storia ha bisogno di una narrazione che non sia monotonamente uguale a sé stessa, soprattutto nel tono emozionale che l’accompagna tra un atto e l’altro.
Come nella musica, l’abilità di chi racconta è far provare a chi ascolta una successione di tensioni emotive che si risolvono in un finale. Restare sempre sullo stesso tono crea invece un senso di noia.
Lo stesso principio vale in una relazione, nel capitolo conclusivo di una tesi di laurea o in uno spot pubblicitario: provate a salire di intensità, utilizzando il crescendo drammatico, oppure alternate una fase dove il tono è negativo (la prova, la difficoltà) a una conclusiva dove il tono è positivo (conclusione, realizzazione, felicità).
Un’idea potrebbe essere quella di strutturare la relazione secondo lo schema classico dei romanzi di avventura: problema iniziale, lotta e tentativi per risolverlo, vittoria e conclusione, facendo sentire a chi ascolta il pathos provato nella ricerca della soluzione e sciogliendo infine la tensione la soddisfazione di averla trovata.
Concludere con una citazione famosa
Se ben scelta, l’uso di una citazione famosa ci risparmia la fatica di dover creare un gioco di parole o trovare una frase particolarmente azzeccata e originale per concludere il nostro testo.
La citazione ha però anche un altro vantaggio: sigilla con l’autorità di un grande pensatore, scienziato o filosofo le nostre conclusioni, aumentando la credibilità delle nostre argomentazioni.
Questi quattro modi di concludere un testo argomentativo possono essere ovviamente combinati tra di loro, creando giochi di parole che siano anche metafore, oppure utilizzando una citazione famosa come epilogo morale che risolve la tensione del lettore.
Si dice che il principe di Talleyrand discutesse a lungo della science des roptures, dell’arte di terminare una relazione senza crearsi un nemico; quando scriviamo, è un po’ la stessa cosa, solamente che il problema non è più farsi dimenticare, ma farsi ricordare.
Le neuroscienze possono insegnarci a scrivere e a comunicare meglio e in modo più chiaro ed efficace. Troverai altri consigli e spunti per migliorare la tua comunicazione nel mio libro Neurocopywriting.
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Per approfondire:
L’importanza della prima affermazione che facciamo
Il gioco di parole nei titoli hippocampus