Comprendere come il nostro cervello valuta la credibilità e l’attendibilità delle informazioni e della persona che la fornisce è diventato particolarmente importante in un’epoca dominata dai social network e dalle fake news.
Il mondo dell’informazione non esaurisce, d’altro canto, l’ambito delle possibili applicazioni di eventuali scoperte neuroscientifiche in questo campo.
Si pensi all’ambito investigativo e giudiziario, e perché no, a quello delle trattative commerciali e delle vendite.
Anche se siamo ancora lontani dall’avere un quadro certo di una materia così difficile, una ricerca recente di un gruppo di ricercatori polacchi pubblicata nel 2020 apre la strada non solo all’utilizzo dell’elettroencefalogramma in questo tipo di ricerche, ma anche a nuove interessanti scoperte, in particolar modo al ruolo svolto dalle emozioni.
I primi studi sulla valutazione di attendibilità delle informazioni
Già negli anni’50 si era capito che la valutazione della credibilità di un messaggio coinvolge non soltanto la credibilità del contenuto del messaggio stesso, ma anche quello dell’autorità della fonte.
Questa può essere scissa in due parametri, la fiducia nella credibilità della fonte e quella nella sua competenza.
Gli studi successivi scoprirono il bias di conferma, per cui tendiamo a dare risalto agli indizi che confermano ciò in cui già crediamo, e quello di desiderabilità, che consiste nel cercare conferme in quello a cui vorremmo credere.
Taber e Lodge giunsero ad elaborare un modello neuroscientifico di come gli elettori vasutano le informazioni politiche, sostenendo che essi semplicemente razionalizzano delle credenze o preferenze emozionali senza alcuna base razionale.
Dopo il 2018, gli studi volti a comprendere i meccanismi di fiducia nelle fake news sono esplosi, complice la diffusione dei social e delle numerose (e spesso suggestive) narrazioni che si sono diffuse sulla sua presunta origine.
Sono stati così aggiunti alla lista altri fattori, quali tendenze politiche radicali, pregiudizi di conferma, polarizzazione di gruppo, eccessiva fiducia e analfabetismo statistico.
Alcuni studi hanno invece cercato di far luce su cosa rende credibile e affidabile la parola di un nostro vicino virtuale (Rutjens and Brandt, 2018; Forgas and Baumeister, 2019), e, più in generale, il ruolo svolto dalla rete.
Il punto debole di queste ricerche sull’attendibilità dell’informazione, secondo gli autori della ricerca che stiamo presentando, è che si basano sulle dichiarazioni dei partecipanti al test o su inferenze indirette dei loro giudizi dai loro comportamenti.
Chiedere semplicemente a qualcuno se crede alle notizie false, o dedurre questa conclusione dal loro comportamento, non è tuttavia sufficiente per concludere con certezza che le fake news sono state trovate credibili, né può rivelare le vere ragioni di tale decisione.
La novità dell’approccio dei ricercatori polacchi
Il gruppo di ricercatori polacchi autore della ricerca ha quindi deciso di utilizzare l’elettroencefalogramma per misurare in modo diretto l’attività cerebrale e comprendere in questo modo i processi di base che si verificano nel cervello durante la valutazione dell’attendibilità di un’informazione.
L’approccio seguito dai ricercatori polacchi aprirebbe – secondo quanto da loro dichiarato nella pubblicazione – un approccio nuovo nelle neuroscienze.
Fino ad oggi, i neuroscienziati si sono infatti preoccupati di utilizzare l’elettroencefalogramma solamente per riconoscere chi mente, e non per indagare le reazioni di chi subisce una menzogna.
Studiare la credibilità delle notizie con l’elettroencefalogramma
L’approccio seguito durante i test è stato quindi quello di osservare l’attività della corteccia cerebrale dei partecipanti durante l’esecuzione di un compito che coinvolgeva la valutazione della credibilità della fonte con l’elettroencefalogramma.
Al fine di garantire che i partecipanti potessero fare affidamento solo sull’attendibilità della fonte durante i test, lo studio è stato progettato in modo che i partecipanti non avessero familiarità con gli argomenti dei messaggi.
Il test consisteva nel mostrare al campione degli esagrammi giapponesi e chiedere di decidere se la traduzione fornita era corretta o meno, dando allo stesso tempo il suggerimento di uno studente di giapponese che aveva superato l’esame in questa lingua con punteggi di successo variabili dal 50% al 90%.
In sintesi, il design dell’esperimento era costringere gli studenti a fidarsi o meno del suggerimento fornito in un ambiente non competitivo e a misurare le variazioni di attività cerebrale durante lo svolgimento del compito.
Il ruolo delle emozioni nella valutazione dell’attendibilità delle informazioni
Quali sono stati i risultati dello studio? Come ci si aspettava, esiste una forte correlazione tra le decisioni di fidarsi della fonte dell’informazione e supposta esperienza del fornitore della stessa (in sostanza, lo studente con il punteggio più alto in giapponese risulta il più credibile).
Veniva anche dimostrato l’esistenza di diversi livelli di attivazione neuronale in base ai tre diversi livelli di credibilità della fonte (50%, 70%, 90%).
Lo studio ha anche evidenziato le aree cerebrali che vengono coinvolte in questo tipo di compito: il solco sub parietale; il giro insulare e solco insulare centrale; la parte anteriore del giro cingolato e del solco; solco circolare dell’insula superiore.
Queste aree sono in misura maggiore o minore associate col processo decisionale, in particolare quando sono coinvolte le emozioni o la valutazione del rischio e dell’incertezza.
Un risultato che ha sorpreso i ricercatori è stato proprio il coinvolgimento dei meccanismi emozionali in una decisione che non avrebbe dovuto avere nulla di emotivo, come se si trattasse di una scelta di tipo etico o morale.
Invece, per chi si occupa di comunicazione, questa scoperta conferma quello che si sa da tempo: fare leva su emozioni e soprattutto sulle paure è la via maestra di qualsiasi propaganda o forma di manipolazione, come del resto la lugubre galleria di fake news legate al corona virus ampiamente dimostra.
Questo è perfettamente conforme, tra l’altro, al modello di razionalizzazione delle preferenze emotive di Lodge e Taber che abbiamo citato prima.
Il lavoro dei ricercatori polacchi porta anche delle nuove domande, come quelle volte a comprendere, ad esempio, come giocano le differenti caratteristiche psicologiche dei partecipanti e le differenze cerebrali da persona a persona nelal valutazione dell’attendibilità dell’informazione.
L’aspetto più interessante della ricerca resta comunque quello di aprire la strada a un possibile modo per contrastare le fake news, vera piaga del XXI secolo, dimostrando la validità delle neuroscienze ad applicazioni che esulano l’ambito clinico ma che abbracciano anche le politiche giuridiche, sociali e di sicurezza collettiva.
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Lo studio oggetto di questo articolo è stato pubblicato su Frontiers in Neuroinformatics il 14 dicembre 2020.