Cos’è il brand activism? Un esempio recente è la campagna Vogue Italia del gennaio 2020, in cui la nota rivista di moda è uscita senza i tradizionali servizi fotografici per protestare contro il loro impatto ambientale.
Le classiche illustrazioni patinate sono state sostituite dalle opere di otto artisti, e i soldi risparmiati devoluti in beneficenza alla fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Vogue ha così dato il primo esempio di una campagna di comunicazione improntata all’attivismo di marca nella storia delle riviste di moda italiane, dimostrando quanto i concetti di corporate activism e responsabilità sociale dell’impresa siano ormai penetrati nel mondo del marketing.
Disastri ambientali, effetto serra e allarmi oramai giornalieri sulla crescita della CO2 rendono del resto l’attivismo ambientale un settore interessante da esplorare sia per il pubblico che per le aziende.
Nel fashion, Stella McCartney è nota da molti anni per avere legato il brand al concetto di moda sostenibile, mentre H&M ha addirittura lanciato un manifesto del prodotto “conscious”, ossia ecologico.
KLM, la compagnia aerea olandese, ha creato una campagna in cui chiede ai clienti di utilizzare il treno invece che l’aereo. Ford e Toyota hanno annunciato di voler cooperare per produrre parti d’auto riutilizzando i fondi del caffè.
Comunque, non è soltanto l’ambiente ad attirare l’attenzione dei grandi brand. Le questioni sociali sono un altro grande campo di azione per le aziende che virano verso il corporate activism: ad esempio Budweiser, che nel 2017 ha realizzato uno spot ponendo al centro la storia di un immigrato tedesco, che non è altro che il fondatore della birreria.
Cos’è il brand activism e come influenza la comunicazione d’impresa?
Il brand attivista non fa altro che continuare nella comunicazione i programmi di responsabilità sociale dell’impresa in cui l’azienda ha investito da decenni.
Detto in parole povere, significa semplicemente accompagnare le azioni di creazione di valore nel prodotto con campagne di sensibilizzazione e presa di posizione.
Avete introdotto una nuova componente fabbricata partendo dal riciclo dei rifiuti? Bene, fatelo sapere a tutti, oppure promuovete l’uso di prodotti dell’economia circolare.
In sintesi, l’idea è passare da un paradigma guidato dal semplice profitto a uno che pone invece al centro la creazione di valore non solo per il consumatore, ma anche per la società in cui l’impresa opera, e farci sopra comunicazione.
Il guadagno non è semplicemente vendere di più e in nicchie di mercato particolarmente sensibili a determinate tematiche, ma anticipare il cambiamento storico.
Infatti, nei prossimi decenni l’adozione di politiche sociali sarà inevitabile, soprattutto in campo ambientale. Tanto vale prevenire e cavalcare il fenomeno, cogliendo l’occasione strategica di occupare subito le future quote di mercato green risparmiando soldi.
La ragione di questo spostamento verso il bene è, ovviamente, anche legato a un cambiamento di mentalità generale. Secondo una ricerca del gruppo Shelton, l’86% dei consumatori americani ritiene che i brand debbano scendere nell’arena sociale e impegnarsi per ambiente, lavoro e parità dei diritti.
Accenture conferma questo trend, con indicazioni che valgono anche per l’Italia. In conclusione, l’imprenditore deve fare i conti con una clientela che chiede sempre più valore incorporato nel prodotto, sociale compreso.
Non si tratta quindi di qualcosa che coinvolge solamente la generazione Z, particolarmente attenta all’ambiente e desiderosa si dalvare il pianeta, ma tutta la popolazione.
Come fa il brand a diventare socialmente impegnato? Philip Kotler, il guru di riferimento per il brand activism marketing, individua 6 aree in cui l’azienda socialmente responsabile può operare:
- L’inclusione sociale: oltre all’uguaglianza di genere e la lotta alla discriminazione per etnia, età, ecc. include anche questioni comunitarie come ad esempio l’istruzione e la sanità.
- L’attivismo legale: si occupa delle leggi che incidono sulle aziende, come le tasse, il posto di lavoro e le leggi sull’occupazione.
- L’attivismo aziendale: riguarda tematiche come i criteri per la retribuzione degli amministratori delegati e dei lavoratori, correttezza nelle relazioni sindacali, trasparenza.
- L’attivismo economico: individua l’adozione di politiche come il salario minimo che incidono sulla disparità di reddito e sulla ridistribuzione della ricchezza.
- L’attivismo politico: il
lobbismo . - L’attivismo ambientale: le misure prese per ridurre l’impatto della produzione su acqua, suolo, aria e persone.
Brand activism: alcuni esempi
Vediamo qualche esempio di comunicazione improntato all’attivismo di marca riuscito, con particolare riferimento all’inclusione sociale.
Il giorno dello sciopero dei taxisti contro il decreto antimmigrazione di Donald Trump, Lyft era un’oscura azienda di trasporti privati con una applicazione poco scaricata.
Quando Uber cominciò a proporre sfacciatamente dei prezzi stracciati per approfittare dello sciopero, Logan Green, amministratore di Lyft, promise pubblicamente di donare un milione di dollari al ACLU (American Civil Liberties Union). Per la prima volta, i download di Lyft superarono quelli per Uber.
Il brand Kenko, uno dei re della torrefazione, educa i giovani a coltivare caffè in Honduras per dargli una prospettiva diversa che finire nelle gang giovanili.
Nella campagna “coffee against the gang”, una serie di brevi video edificanti mostrano ai giovani dei buoni motivi per passare dalla violenza all’agricoltura.
TOMS è un brand di scarpe che si distingue da altri marchi solamente per una caratteristica molto singolare: per ogni paio di scarpe venduto, un paio viene donato a un bambino in difficoltà.
Il costo delle scarpine è ricaricato su quello del paio di scarpe acquistato da un adulto. La storia di questo brand rivoluzionario è raccontata da questo articolo dell’università del New Mexico.
Anche tematiche difficili come i diritti di chi compie una scelta affettiva rivolta alle persone del proprio sesso possono essere oggetto di campagne di brand activism.
Pampers ha realizzato un passaggio in cui i pannolini li usano una coppia di lui: i due attori gay Tom Daley e lo sceneggiatore Dustin Lance Black, regolarmente sposati nel 2017 e già con prole a carico.
Quando fallisce la comunicazione basata sull’ attivismo di marca?
Bisogna distinguere tra attivismo di marca che si riduce a mero trucco pubblicitario da quello che è espressione di una reale assunzione della responsabilità d’impresa, con conseguente adozione di politiche di corporate activism credibili ed efficaci. La comunicazione in questo settore è efficace solo se alle spalle l’impegno è effettivo.
Il rischio è altrimenti di incorrere in un epic fail, un colossale fallimento, magari amplificato dal tam tam dai social e dal fatto che nel mondo digitale siamo sempre un po’ tutti sotto il controllo degli altri e il rischio di perdere la reputazione per errori magari banali è sempre molto alta.
Con “Live for now”, Pepsi aveva cercato di strizzare l’occhio al movimento americano Blacks live matter. Una ragazza ben vestita (l’attrice Kendall Jenner) si unisce a un corteo e per stemperare la tensione offre da bere una Pepsi a un cordone di poliziotti.
Lo spot è stato aspramente criticato e conseguentemente ritirato da Pepsi. Le accuse non riguardavano solamente la strumentalizzazione dei movimenti di protesta, ma anche l’utilizzo di una ragazza ricca e ben vestita che poco ha a che vedere con i problemi reali di chi manifesta.
Race together del 2015 di Starbuck è un altro esempio di colossale fallimento. L’idea era aprire una discussione sulle tematiche del razzismo scrivendo l’ hashtag #racetogether sui bicchieri. Se i clienti avessero chiesto spiegazioni, i baristi avrebbero dovuto coinvolgerli in una discussione sul razzismo.
Le accuse di opportunismo rivolte sui social contro Starbuck furono così pesanti che l’azienda ha dovuto interrompere la campagna quasi immediatamente.
In conclusione, le campagne improntate al brand activism funzionano a condizione di rispecchiare valori, prassi, politiche e comportamenti realmente adottati dalle aziende, mentre il semplice cavalcare le emozioni del momento con finalità opportunistiche può rivelarsi pericoloso.
La responsabilità sociale non per tutti i brand, ma solamente per le aziende realmente coscienti e impegnate.
Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla newsletter per ricevere contenuti simili. Oppure, leggi il mio ultimo libro, Neuroscienze della narrazione.
Per approfondire: Brand Activism, una nuova frontiera del marketing.