Capita da anni di imbattersi in microcopy con l’avviso che la cancellazione da un servizio comporterà una lunga lista di perdite di dati e tanto di pulsante vistosamente colorato da premere per confermare l’operazione.
Mi sono sempre chiesto che utilità possa avere ricordare con puntiglioso dettaglio all’utente tutto questo, visto che è ovvio e scontato.
Siamo di fronte all’applicazione di misteriose normative sulla privacy? No, la risposta è probabilmente più semplice e l’ho trovata girovagando in rete su un blog dedicato agli UX pattern.
Detto in parole povere, si tratta di esempi di microcopy che fanno uso del bias dell’avversione alla perdita.
L’avversione alla perdita come leva di persuasione
L’avversione alla perdita viene descritta come la tendenza del cervello a dare molto più peso alle perdite che ai guadagni (anche se non vi è alcun motivo logico per farlo) ed è uno dei pilastri portanti della Teoria del prospetto dei due neuroeconomisti e premi Nobel Daniel Kahneman e Amos Tversky.
In soldoni, secondo i due autori il nostro cervello odia doversi disfare di qualsiasi cosa, fosse anche inutile e pericolosa. Ecco il motivo per cui ci trasciniamo negli anni con relazioni difficili, riempiamo la nostra casa di cianfrusaglie e preferiamo tenerci un lavoro che odiamo piuttosto che cercarne uno migliore.
Inutile dire che questa tendenza trova ampio uso nel marketing sotto varie forme: ad esempio, quando si cerca di far leva sull’emozione del rimpianto per la perdita di una buona occasione o un buon affare; oppure, più semplicemente, in questo tipo di microcopy utilizzati nei form di cancellazione da un servizio per trattenere gli iscritti.
L’uso dell’avversione alla perdita nelle microcopy dei form di cancellazione dal servizio
Ricordare minuziosamente la perdita dei “tuoi” dati prima di cancellarti serve, infatti, a scatenare questo tipo di avversione nella speranza che l’utente decida di non confermare la cancellazione e di restare iscritto, e non certo a rendergli un miglior servizio.
Ragionando in termini di UX, non è difficile giungere alla conclusione che il passaggio della conferma della cancellazione dei dati conferiti in sede di registrazione è inutile.
Per una persona che ha deciso di cancellarsi, non è importante sapere cosa sta per essere eliminato dal database perché l’operazione è ovvia e scontata.
Al limite, potrebbe avere una qualche utilità inviare una e-mail con l’elenco dei dati cancellati a mo’ di ricevuta, ma comunque dopo aver effettuato la cancellazione.
Sempreché, ovviamente, non ci sia una qualche reale utilità: ad esempio, la possibilità di scegliere che dati cancellare e la necessità di effettuare una richiesta espressa al mantenimento nel data base di una parte dei dati personali.
Le vere ragioni di questo tipo di microcopy manipolativa
Non so quale sia l’efficacia di questo tipo di microcopy, ma la sua natura subdolamente manipolativa mi sembra indubbia. Ricordo inoltre che il suo uso si accompagna ad altri tipi di “dark pattern” di design per rendere difficile o impossibile la cancellazione da un servizio, come nascondere il pulsante o la voce del menu o rendere la procedura particolarmente lunga e fastidiosa.
Ma cosa ci si guadagna a tenersi un utente che non vuole più il nostro servizio?
Probabilmente, le aziende che utilizzano questi stratagemmi hanno più che altro bisogno di mantenere il diritto di utilizzo dei dati e soprattutto del relativo consenso ai fini della privacy per poterli poi rivendere a terzi.
In conclusione, l’impressione è che alle aziende non interessa trattenere il cliente che fugge, ma fare ben più lucrosi affari. Dopotutto, da quando è nata la rete si sa che non vogliono i tuoi soldi, baby, ma i tuoi dati.
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