L’importanza dell’apparenza nelle relazioni

L’apparenza inganna, ma non ne possiamo fare a meno. L’unica soluzione al problema di dovere selezionare miliardi di segnali che l’ambiente ci invia continuamente per prendere le opportune decisioni dalla fuga dinanzi al pericolo a cosa ordinare al ristorante e nel 90% dei casi in poche frazioni di secondo –  è semplificare, semplificare il più possibile e sfruttare i dati che il nostro sistema percettivo ci rende immediatamente disponibili: l’apparenza, per l’appunto.

La regola dell’apparenza è particolarmente valida nel mondo delle relazioni: la vita lavorativa e sociale ci costringe a passare spesso il tempo con persone relativamente sconosciute, di cui sappiamo poco o di cui è non è possibile scoprire o comprendere molto a meno di spendere soldi e tempo svolgendo indesiderate e complicate indagini.

Per fortuna il nostro sistema cognitivo ci offre la possibilità di utilizzare schemi e semplificazioni spendibili in pochi secondi e costruiti secondo delle regole culturali e di esperienza che sembrano innate, ma che non lo sono, e che ci permettono di inquadrare immediatamente una persona.

Queste euristiche – delle sorte di algoritmi che utilizziamo per interpretare al volo la realtà – valorizzano e sfruttano al massimo quei pochi indizi che l’apparenza delle persone offre a noi, dall’espressione del viso e dallo sguardo fino al modo di vestirsi, di parlare e di gesticolare.

Psicologia dell’apparenza

La psicologia cognitiva è ben consapevole di questi meccanismi. Nella teoria dei Frames e Script, elaborata nell’ambito delle neuroscienze cognitive e dell’intelligenza artificiale, la nostra costruzione della realtà avviene esattamente cogliendo degli indizi significativi (“Cues”, in inglese) e inquadrandoli e interpretandoli alla luce di schemi (Frames) culturalmente appresi che ci indicano anche le azioni da compiere in risposta (Script).

Se vedo qualcuno scappare da una banca col passamontagna, un sacco in mano e una pistola penserò subito che sia un rapinatore. Gli indizi (“Cues”) – pistola, passamontagna, movimento rapido e sacco – nel contesto banca fanno subito scattare il Frame appreso culturalmente della rapina e lo Script: scappa e chiama la polizia.

Eppure, potrebbe essere stato anche qualcos’altro, ad esempio un attore di un film o uno scherzo. Ma queste considerazioni non vengono in mente. Decidiamo sulla regola dell’apparenza perché non c’è tempo per riflettere, svolgere indagini o intervistare il rapinatore chiedendogli se effettivamente si tratta di una rapina.

Ciò vale ovviamente nel nostro tempo e nella nostra cultura, dove banca e rapina sono concetti ben presenti. In universi alternativi e dispotici, l’interpretazione potrebbe essere diversa. Pensate la stessa scena in un futuro “cashless”, dove ormai si è perso il ricordo del contante e dove non ci sono più rapine. Probabilmente l’interpretazione e la nostra reazione sarebbe completamente diversa.

Linguaggio corporeo, abbigliamento, lingua come elementi costitutivi dell’apparenza

Ma quali sono gli indizi che l’apparenza ci offre e che valorizziamo maggiormente nelle nostre interpretazioni delle relazioni? Oggi, grazie alle numerose ricerche comportamentali e no, abbiamo un quadro sufficientemente dettagliato dei fattori maggiormente presi in considerazione.

Espressioni facciali

Innanzitutto, l’espressione facciale e lo sguardo: le emozioni di base come la rabbia e la felicità sarebbero, secondo una consolidata teoria che risale a Darwin, comunicate attraverso espressioni facciali universali che cogliamo in meno di un secondo.

Possiamo così immediatamente capire se con la persona che ci sta davanti siamo in un contesto amichevole (sorriso) o di scontro o addirittura di attacco (denti digrignati, sguardo torvo), inquadrando immediatamente il contesto e le azioni possibili (ad esempio la fuga).

Postura e portamento

Postura e portamento sono altri indizi a rapida valutazione. Un portamento eretto denuncia, come tutti sanno, sicurezza, al punto che la postura è sempre presente in qualsiasi scuola di comunicazione assertiva.

Altri indizi chiave nell’ambito del comportamento non verbale di comune conoscenza sono le braccia aperte (accoglienza), le braccia conserte (chiusura, diffidenza), la stretta di mano ferma (ancora sicurezza), lo sguardo diretto (onestà, chiarezza).

Abbigliamento

L’abito fa il monaco, può piacere o non piacere, ma questa è la verità. Il vestirsi è uno dei segnali più potenti che inviamo alle persone, motivo per cui spesso le organizzazioni impongono le divise, abiti che immediatamente segnalano l’appartenenza della persona a determinati apparati e i poteri che esse anno rispetto a noi (si pensi alla polizia).

Col vestito comunichiamo la nostra disponibilità a una comunicazione formale o informale (pensate alla differenza tra indossare un abito nero o un giubbotto di pelle marrone), il mostro rango, ruolo e status di potere nell’ambito di una relazione (ancora, pensate alla differenza di messaggi che lancia una donna vestita in minigonna e alla stessa donna in gessato blu corporate), la situazione in cui siamo, addirittura, con la scelta dei colori, possiamo perfino influenzare lo stato d’animo dell’altro.

Linguaggio

Anche il modo di parlare tradisce parecchio di una persona, a cominciare dal suo livello culturale e all’educazione. I nostri nonni valutavano molto come le persone parlavano o scrivevano perché questo dimostrava la possibilità di avere avuto una educazione e quindi disponibilità economiche e appartenenza di classe.

Il modo di parlare e la scelta del registro – formale o informale – può creare e abbattere barriere, avvicinare le persone o allontanarle. Sono sempre sottili indizi che forniamo nella scelta dele parole, pensate a come cambia dare del tu rispetto al lei. Per questo, per dirla con le parole di Paolo Borzacchiello, è importante badare a come parli, sapere utilizzare le espressioni più convenienti rispetto al contesto, ai contenuti e alle persone a cui ci rivolgiamo.

Neuroscienza dell’apparenza

Fino ad adesso abbiamo analizzato gli aspetti cognitivi dell’apparenza, ossia di come la nostra mente conosce e da senso al mondo utilizzando una serie di segnali chiave desunti dall’esperienza e dalla cultura (sembra, almeno fino ad oggi, che non ci siano invece strutture geneticamente ereditate, ma il risultato può ovviamente cambiare).

Ora, è bene chiarire che questi segnali chiave hanno anche effetto sul corpo, non solo sulla mente. Lo yoga della risata induce buon umore semplicemente sforzandosi di ridere, per un puro effetto della movimentazione dei muscoli facciali.

Al cinema, le scene horror ci fanno tremare di paura anche se sappiamo benissimo che è tutto falso e che il sangue è succo di pomodoro, come è stata dimostrata la profonda attivazione muscoloscheletrica causata al lettore pigramente seduto in poltrona.

L’apparenza, in sintesi, ha effetti reali e che invadono le nostre membra e la nostra carne. Dovremmo essere sempre consapevoli che quando parliamo, ci atteggiamo e ci vestiamo in un certo modo andiamo a influenzare il metabolismo e il corpo di chi ci sta vicino, facendolo stare, in base ai casi, meglio o peggio, e generando le inevitabili risposte e conseguenze.

Anche le parole possono avere effetti sul nostro corpo, come è stato dimostrato dalle ricerche compiute in materia di abuso verbale e insulti. Il detto: Le parole feriscono non è una metafora, ma una realtà.

Sforzarsi di migliorare, essere piacevoli, migliorare la propria apparenza e il linguaggio è quindi importante non solo per farsi accettare, ma per aumentare il benessere degli altri e, indirettamente, il nostro per gli inevitabili effetti di retroazione.

Apparenza e algoritmi digitali

L’apparenza si basa su una serie di segnali chiave, i “Cue” di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo. Sui canali digitali ne lasciamo tantissimi sotto forma di comportamenti che gli algoritmi possono cogliere e analizzare, cercando nessi probabilistici.

L’algoritmo di Google valuta il coinvolgimento su un contenuto digitale analizzando alcuni segnali come i clic, lo scroll e il tempo passato. Nell’analisi del sentiment, i Cue sono caratterizzati dall’uso di emoticon, espressioni e parole rivelatrici, like e share. Nella profilazione digitale, da alcuni segnali come cercare determinati prodotti o passare davanti ai negozi che gli vendono.

Alla fine, anche gli algoritmi digitali vivono di apparenza. In base alle tracce che voi lasciate e ai pregiudizi di chi li programma sul loro significato, ricostruiscono una narrazione di quello che desiderate, pensate o farete. La differenza è che non hanno un corpo e quindi non soffrono se vi comportate male e che utilizzando la potenza di calcolo e la statistica possono scovare correlazioni tra un segnale chiave e un comportamento in tempi più rapidi di un essere umano.

Truffe e raggiri: i limiti dell’apparenza

Ragionare sulle apparenze facilita la vita ma può ingannare, come dice il proverbio, perché dopotutto noi siamo qualcosa di molto più profondo dell’apparenza che mostriamo (la maschera sociale di Pirandello). Inoltre, i segnali chiave su cui si costruisce l’apparenza possono essere imitati e falsificati.

L’arte della truffa e del raggiro si basa, sostanzialmente, sulla capacità di creare una falsa apparenza di onestà, integrità e bontà sfruttando i segnali che per noi denunciano queste qualità imitandoli il più perfettamente possibile.

A livello quotidiano, tutti mentiamo: chi finge l’orgasmo per non dispiacere il partner, chi finge di essere contento in azienda anche se non lo è per paura di ritorsioni, chi per educazione si complimenta per un successo altrui che non sente. E per farlo, creiamo un’apparenza di qualcosa che sembra esserci ma non c’è.

Nel campo digitale, la capacità di imitare, meglio di fingere la realtà delle macchine ha creato il conturbante fenomeno dei deep fake, falsi fatti così bene da diventare reali. Ma ricordiamoci che anche il cinema è un’illusione magnifica, in quanto nella realtà quello che vediamo come movimento lineare non è che una serie di fotogrammi sconnessi.

Il limite dell’apparenza ha aperto la strada al pensiero scientifico. L’apparente moto del sole intorno alla terra è stato demolito da Nicolò Copernico, e non senza resistenze e battaglie per la difficoltà di vincere il pregiudizio così pervicacemente ancorato, per l’appunto, all’apparenza.

Il problema è che la realtà viene costruita dalla nostra mente, come avevano intuito i pensatori buddisti (e non solo) e come hanno di nuovo sottolineato nel secolo scorso i costruttivisti in Europa. Dell’apparenza abbiamo bisogno, ma ne siamo anche limitati, come del resto non possiamo rinunciare alla nostra mente, nonostante tutti i dispetti e gli errori che ci fa fare.

Queste considerazioni riagganciano il tema dell’apparenza a quello della menzogna e di cosa è reale e cosa non lo è. Le nuove tecnologie ripropongono oggi questo tema in chiave ancora più potente, ponendo l’eccitante sfida di riformulare nuove risposte a questo antico interrogativo. Nell’attesa, ricordiamoci del ruolo dell’apparenza nelle relazioni, e dell’importanza di saperla usare a nostro vantaggio.

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Immagine di freepik

Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

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