Le emozioni: una costruzione mentale e culturale?

Le emozioni sono costruite dalla nostra mente, e non qualcosa che è innato nel nostro cervello? La risposta che dà la neuroscienziata Lisa Feldman Barret nel suo ultimo ed estremamente denso libro, “Come sono fatte le emozioni”, è affermativa.

Le emozioni sono innate o costruite?

Alla base del pensiero neuroscientifico odierno in tema di emozioni c’è il pensiero di Charles Darwin, che sostenne l’esistenza di una serie di emozioni comuni e innate a ogni specie vivente (si pensi alla rabbia o alla paura).

Questa posizione è stata ripresa, approfondita e sviluppata da Jaak Panskepp e poi da Paul Ekman, che con una serie di esperimenti sembrò dimostrare che effettivamente le espressioni facciali che denotano le emozioni di base sarebbero comuni e universali a tutto il genere umano.

Tuttavia, questa posizione non è mai stata condivisa da tutti. I sostenitori della teoria dell’appraisal emotivo avevano teorizzato già a partire dagli anni ’60 del secolo scorso che le emozioni non fossero esclusivamente innate, ma comunque frutto anche di valutazioni di tipo sociale e cognitivo.

Più Recentemente, si è scoperto che le espressioni facciali non sono così universali come sembrava a prima vista, e che possono variare da cultura a cultura.

La tesi della Barrett

La Barret nel suo libro si spinge molto più in là, arrivando a demolire sistematicamente non solo la teoria dell’esistenza di emozioni e circuiti neuronali delle emozioni innate, ma anche confutando la possibilità che esistano dei marcatori somatici delle emozioni.

In conclusione, non è possibile comprendere che emozione sta provando un soggetto non solo dallo studio delle sue espressioni facciali, ma anche dai dati neurofisiologici come le tracce rivelate dall’elettroencefalografo.

Secondo la Barret, le emozioni sarebbero frutto della cultura in cui il soggetto viene immerso fin dalla nascita, che gli insegna come categorizzare le sue percezioni, e delle sue personali esperienze che rendono comunque unico non solo quello che il soggetto prova, ma anche come le emozioni vengono generate a livello neurale per via dei noti meccanismi della plasticità e della degenerazione neurale.

Qualsiasi ipotesi “innatista”, come la Barret la definisce, viene rigettata. Non abbiamo emozioni innate o programmate geneticamente, ma ereditiamo solo la predisposizione ad apprenderle per quello che la nostra cultura può insegnarci.

Le ricadute sul neuromarketing

Se tale teoria fosse dimostrata, ne conseguirebbe l’invalidazione di molte metodologie oggi utilizzate nel neuromarketing, che fanno appunto leva sull’esistenza di marcatori somatici delle emozioni.

C’è però da dire che, almeno in materia di riconoscimento facciale, le aziende hanno già metabolizzato le critiche a Ekman aggiornando i database e differenziandoli per cultura. Anche nel campo del neuromarketing, pur ammettendo il fallimento della teoria della possibilità di individuare dei marcatori somatici delle emozioni, resta allora da spiegare il successo della metodologia in svariati e numerosi casi.

Molte indagini in questo campo sfruttano non solo i dati fisiologici, ma anche quelli raccolti con questionari e domande. E l’esistenza di una corrispondenza tra dati fisiologici e interpretazione che ne danno i soggetti con i riferimenti della loro cultura potrebbe salvare queste ricerche. Dopotutto, a livello pratico fa poca differenza se il mio cuore batte per amore nella circostanza X o io credo che stia provando amore se il mio cuore batte quando mi trovo nella circostanza X: in ogni caso, sarà amore l’emozione che dentro di me mi rappresenterò in quella circostanza.

Emozioni, una questione di definizione?

Paul Ekman ha risposto alle critiche della Barrett, ribadendo le sue posizioni e i suoi risultati con nuovi dati. Ne è nata una discussione che difficilmente vedrà la fine tanto presto, vista la difficoltà che oggi ancora hanno le neuroscienze a investigare questa difficile materia.

Il problema alla base, come acutamente sottolineato dal neuroscienziato Michael Cazzaniga nel suo libro: Neuroscienze cognitive (2021), è la stessa mancanza di una definizione comunemente accettata di cosa si intende per emozione o emozione di base. Ogni teoria adotta come definizione di emozione espressioni diverse, che spesso non si riferiscono agli stessi fatti osservati.

Secondo Cazzaniga, ogni teoria sulle emozioni potrebbe essere valida secondo la specifica definizione di emozione che fornisce. Per questo motivo, oggi siamo ancora lontani da una teoria definitiva. Detto questo, il libro della Barrett resta sicuramente una lettura molto interessante e uno sforzo notevole, segnando comunque una pietra miliare nel difficile compito di comprendere quest’ardua materia.

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla newsletter per ricevere contenuti simili. Oppure, leggi il mio ultimo libro, Neuroscienze della narrazione.

Immagine di freepik

Autore: Marco La Rosa

Sono un web content writer, web designer e esperto di SEO e UX design. Ho scritto il libro Neurocopywriting, edito da Hoepli, dedicato all'applicazione delle neuroscienze alla comunicazione.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.