L’analisi della comunicazione politica, delle decisioni e dei comportamenti degli elettori non sono certamente tematiche nuove per le neuroscienze e la psicologia dei comportamenti sociali.
L’avanzamento delle scoperte e il potenziamento degli strumenti di testing aprono nuove, interessanti – e a volte inquietanti – prospettive, su cui si ha però la sensazione di una totale assenza di attenzione e di dibattito nel nostro paese.
Tra le ricerche e le teorie che partono da un presupposto neuroscientifico, una degna di nota è sicuramente il modello dell’elettore razionalizzante proposto da Lodge e Taber nel 2007.
Riprendendo un’impostazione tipica del primo neuromarketing, i due autori hanno proposto uno schema per spiegare le credenze e opinioni politiche degli elettori a due processi:
- il primo basato su una componente automatica e non volontaria
- il secondo invece cosciente e volontario
Il processo non volontario sarebbe collegato alla risposta affettiva ai leader e ai gruppi politici, che verrebbe prima di quella cognitiva, con un’attivazione automatica che avverrebbe anche quando l’elettore non è cosciente dell’innesco.
La non consapevolezza dei processi automatici porterebbero gli elettori a credere che le loro scelte sono razionali e volute, quando invece non è assolutamente vero. Nella realtà dei fatti, le scelte ed opinioni politiche sarebbero guidate da meccanismi non consci di cui l’elettore non è consapevole.
Una conseguenza di questo assunto è che le opinioni che l’elettore esprime nei vari sondaggi, interventi ed interviste sono poco affidabili, sarebbero più delle razionalizzazioni di quello che sente che delle reali spiegazioni.
In conclusione, non siamo consapevoli del perché si è formata una certa impressione o emozione associata a un partito o a un candidato. Possiamo però crearci delle narrazioni che razionalizzano a posteriori comportamenti e decisioni.
Le scelte sarebbero invece fatte cercando di ottimizzare la emozione di felicità: voto il candidato che a pelle mi farà più felice, non avverrebbe cioè su basi razionali, come suggeriscono le teorie di taglio più economicista.
Uno degli aspetti interessanti del modello dell’elettore razionalizzante è che i due autori cercano di dare anche una spiegazione di come si formano le preferenze irrazionali del corpo elettorale.
Queste sarebbero legate a condizionamenti e situazioni del periodo in cui abbiamo memorizzato il partito o il candidato, di cui non siamo del tutto consapevoli.
Vi sarebbe anche l’effetto del contagio affettivo per cui suggerimenti provenienti dall’ambiente (ad esempio, i sorrisi dei canditati) incoraggiano risposte positive (like) o negative.
Le implicazioni del modello dell’elettore razionalizzante per chi si occupa di comunicazione sono evidenti, e spigano il motivo per cui da sempre i politici nelle loro campagne elettorali fanno sempre leva su aspetti irrazionali, e della difficoltà di portare avanti che viene definito puro buon senso.
Non è certo cosa nuova, già Macchiavelli scriveva nel Principe: “A uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo”. Il modello dell’elettore razionalizzante di Taber e Lodge aggiunge semplicemente il sigillo della scienza a ciò che da sempre i pratici sanno e fanno.
Non ci dice però come uscirne. Un limite del modello a mio avviso è proprio questo, soprattutto in un mondo che ha sempre più bisogni di attori se non razionali se non altro responsabili, non soltanto di diagnosi quindi, ma anche di terapia.
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Per saperne di più: The Rationalizing Voter: Unconscious Thought in Political Information Processing