Scegliere i font per un articolo, sito vetrina o post non è certamente facile, come ben sanno designer e editor.
Oltre agli aspetti estetici, bisogna infatti considerare l’impatto psicologico e semiotico di ogni carattere tipografico.
Darà l’Ariel al nostro sito quella sensazione di freschezza e modernità che desideriamo? Oppure, il Lobster sottolinea realmente l’aspetto divertente e simpatico di un prodotto?
Se consideriamo che l’informazione è spesso veicolata a livello visivo proprio da foto, immagini, colori e aspetti grafici – tutti elementi in grado di creare la cornice e le ancore cognitive con cui il lettore interpreterà quello che scriviamo – non è difficile comprendere perché la scelta dei font sia così importante.
Per fortuna, le scoperte delle neuroscienze e della psicologia della conunicazione applicata ai font possono oggi fornirci qualche indicazione in più su come scegliere il font giusto per il nostro progetto.
Sans Forgetica, il font che aiuta la memoria
La prima applicazione neuroscientifica sui font che analizziamo in questo articolo è del 2018 e riguarda la creazione di un tipo di carattere chiamato Sans Forgetica, che dovrebbe facilitare la memorizzazione e quindi l’apprendimento del testo.
Come dice il nome, è un carattere tipografico senza le grazie al cui sviluppo e progettazione ha collaborato una equipe mista di psicologi, tipografi e neuroscienziati in un progetto coordinato dall’università australiana RMIT.
L’idea è quella di generare nel lettore una forma di “difficoltà desiderabile” nella lettura. Infatti, fare un po’ di fatica quando leggiamo un testo aumenta l’attenzione e la memorizzazione. Del resto, si dice che lo stress a piccole dosi è salutare, anzi necessario per restare in salute.
Il font non rompe gli standard tipografici di base ed è scaricabile gratuitamente. Potete quindi già provare a testarlo nei vostri progetti creativi ed educativi a costo zero.
Psicologia dei font: più semplice convince di più
Gli ultimi anni hanno visto l’esplosione dei font semplici e senza le grazie.
Arial, Roboto, Open Sans e tanti altri sono sempre di più preferiti, ripercorrendo il successo dell’Helvetica, famoso per la sua linearità semplice e che è tutt’oggi forse il font più usato ed apprezzato del pianeta.
Questo amore per la semplicità potrebbe avere basi più robuste delle mode del momento. Secondo le ricerche svolte da Schwartz e Song all’università del Michigan nel 2008, facile da leggere sarebbe chiaramente correlato a facile da fare.
Font semplici e chiari otterrebbero in sostanza un indice di conversione maggiore di font più elaborati e complessi, e sarebbero quindi più indicati per quelle parti di testo in cui chiediamo al lettore azione (form, call of action, pulsanti, banner, manifesti pubblicitari).
L’esperto di neuromarketing Roger Dooley consiglia quindi di utilizzarli in questi elementi di testo, così piccoli, ma così strategici e di alto impatto per il nostro business.
Significati psicologici dei font
Le ricerche di psicologia cognitiva hanno anche dimostrato che esiste un legame tra i segni dei font e alcune caratteristiche psicologiche che noi attribuiamo ai font stessi.
In sostanza, i caratteri tipografici hanno una loro personalità emozionale che influenza i lettori.
Si è così scoperto che il Times New Roman aumenta la sensazione di ironia e divertimento di un testo comico, mentre l’Arial l’attenua.
Altre ricerche hanno invece mostrato una correlazione tra estetica del font e aumento del pensiero creativo dei lettori, dimostrando tutto il potere del vecchio motto: “Anche l’occhio vuole la sua parte”.
Spaziature, larghezza e altri elementi
Le neuroscienze applicate ai font hanno confermato anche altre intuizioni dei tipografi e dei grafici, come ad esempio l’importanza della spaziatura tra carattere e carattere per aumentare la facilità di lettura.
Tra i punti indagati e confermati dai test riguardano la maggior difficoltà del corsivo rispetto allo stampato, e l’inutilità del tutto maiuscolo per aumentare l’attenzione.
Non mancano infine studi sui caratteri tipografici più indicati per i dislessici e sull’importanza della larghezza dei font, sempre ai fini della memorizzazione.
Che conclusioni trarre da tutte queste ricerche? Indubbiamente, contribuiscono a portare chiarezza in una disciplina che a giudicare dal tenore di molti post che si leggono in rete ne è disperatamente alla ricerca.
In conclusione, anche se ancora agli inizi, l’applicazione delle neuroscienze alla tipografia sembra essere un campo di studi molto promettente e fecondo di sviluppi non solo per l’aridità degli esperti, ma anche per la fertilità e la fantasia dei creativi, dei deisgner e dei tipografi.
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Per approfondire e trovare altri esempi di applicazione delle neuroscienze a font e tipografia, consiglio ai lettori di leggere l’artioclo di Aditya Shukla su Cognition today, “Font Psychology, New research & practical insights“.